HomeVarieIl buio siriano

Il buio siriano

Autore

Data

Categoria

Uno dei fondatori di medici senza frontiere, Jaques Beres, ha rilasciato un’intervista alla Reuters, di ritorno da Aleppo dove era andato per portare aiuto e lavorare come chirurgo in prima linea. La sua memoria si fissa un punto inquietante, Beres sostiene di aver trovato nei combattenti anti-regime un sostanziale disinteresse verso la caduta di Bashar Al Assad, il loro obiettivo – dice – è la creazione di uno stato islamico retto dalla sharia. Tra loro, c’erano anche francesi.

La voce di Beres, al di sopra delle parti, contribuisce a rafforzare i dubbi occidentali sulla rivolta siriana o meglio su una parte di coloro che la combattono. Fermo restando che un solo giorno di regime è troppo ed i siriani sotto l’oligarchia degli Al Assad sono rimasti per quarant’anni. Fermo restando che la rivolta era partita come una protesta di strada e che la repressione durissima del regime e la sua chiusura totale al dialogo (“chi protesta è un terrorista”) ha creato le condizioni per la guerra civile.
Fermo restando tutto ciò, è ormai chiaro che in Siria ci sono tantissimi combattenti stranieri animati dalla voglia di jihad. Questo non può ovviamente giustificare alcuno sconto verso il regime che è colpevole – tra l’altro – di aver colpito e bombardato il suo stesso popolo e civili innocenti. Ma questa presenza jihadista contribuisce a rendere il quadro siriano oscuro e poco decifrabile da parte di un occidente alla prese con la sua crisi economica e con uno stallo diplomatico che non riesce a sbloccare. Difficoltà sintetizzabile in quella notizia di quest’estate che raccontava degli imbarazzi di Washington nel fornire armi ai ribelli, forniture negate perchè non si sapeva bene nella mani di chi andassero a finire queste armi: se nelle mani di chi vuole la democrazia o in quelle di chi vuole usare la Siria come una palestra della jihad e magari il giorno dopo è pronto a colpire una città occidentale.

A ciò si aggiungono altre complicazioni come la crescente matrice sunnita del conflitto (l’elite che governa la Siria appartiene alla minoranza alawita, in pratica sciiti, minoranza della popolazione contro la maggioranza sunnita) che se favorisce il sostegno ai rivoltosi dei Paesi del Golfo, irrigidisce il governo (sciita) del confinante Iraq ritrovatosi – per giunta – negli ultimi giorni nel bel mezzo del caso-Al Hashimi (ex-vicepresidente, sunnita, condannato per violenze settarie e fuggito all’estero).

La Siria è un tassello fondamentale del mosaico medio-orientale, una complessità di cui si parla da sempre e che in parte giustifica la cautela occidentale e motiva lo stallo diplomatico. Damasco significa Iran quindi Hezbollah libanesi e conflitto con Israele, significa resistenza curda e separatismo curdo, significa unica base navale russa nel Mediterraneo e allenza con la Cina oltre alle faglie religiose di cui si parlava prima e che attraversano il mondo mussulmano.

Probabilmente, in questo conflitto con tanti spettatori e destinato a trascinarsi a lungo, i ribelli dovrebbero avere la forza di unirsi anche in un soggetto politico che effettivamente li rappresenti (cosa che non sembra valere in pieno per le organizzazioni siriane in esilio all’estero), possa fare pulizia del jihadismo come offrire una prospettiva sul dopo-Assad che tranquillizzi la comunità internazionale e la spinga a fare qualcosa. Facile a dirsi, molto difficile a farsi ma non sembra ci siano altre alternative mentre i morti in Siria scorrono inarrestabili come l’acqua delle condotte collassate nelle strade di Aleppo, dove ormai anche bere e lavarsi è diventato un esercizio di sopravvivenza per migliaia di civili.

Articolo precedente
Articolo successivo

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Nico Piro

Provo a dare voce a chi non ha voce, non sempre ci riesco ma continuo a provarci. Sono un giornalista, inviato speciale lavoro per... continua a leggere