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Disinformazione e cattiva informazione

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In Italia eravamo abituati alle liste di prescrizione (roba talmente italica da proteggere con la DOCG) ma si sa non c’è più la mezza stagione e allora siamo passati alle liste di proscrizione. Queste non solo segnano una delle pagine più buie del giornalismo italiano, non solo sono un danno alla democrazia ma ci dicono anche altre cose molto preoccupanti: siamo in pessime mani, non siamo protetti contro la disinformazione anzi non abbiamo nemmeno capito cosa sia disinformazione. Roba da brividi.
Partiamo da un caso di scuola, quello della Brexit. Ci sono ampie analisi e rapporti che ci dicono che il voto per lasciare la UE venne condizionato dalla disinformazione che è cosa ben diversa dalla propaganda. La confusione nasce dal termine russo “dizinformatia”.

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FXS1D6qXgAAYlc8.jpgLa disinformazione non è cattiva informazione, sono false notizie fatte circolare ad arte. Un tempo erano voci diffuse “in mezzo al mercato” oggi via social. Ma torniamo al caso della Brexit. Com’è stato influenzato il voto? Per esempio con ads (pubblicità) su Facebook come questo 👇

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Perchè lasciare l’Unione Europea? Perchè ci sta entrando la Turchia (falso) e quindi verremo invasi da 76 milioni di mussulmani che potranno muoversi liberamente (rubandoci il lavoro!). Grazie alla stampa (il The Guardina in particolare ma anche la BBC), Facebook ha dovuto diffondere gli ads. Voi direte ma com’è possibile? Cioè se sono degli ads (pubblicità) perchè dovrebbero essere “resi pubblici” sono già pubblici! E qui entra in campo il secondo fattore cioè “big data” grazie al “grande fratello su base volontaria” (i social) al quale aderiamo fornendo ogni genere di dati su nostri gusti e interessi, è possibile fare targeting cioè mirare a dei bersagli potenzialmente più sensibili ai nostri messaggi (in questo caso la Brexit – qui gli atti dell’inchiesta parlamentare). Un po’ come quando cercate “pannolini” su Google e per giorni verrete tormentati da pubblicità (appunto “mirata”) di prodotti per neonati. Non tutti li vedono insomma solo le “vittime”. Qui entra in gioco Cambridge Analitica (mettiamola così: una serra dove si coltivano i dati raccolti a strascico) ma anche realtà molto più piccole che dai social comprano dati e li analizzano in una zona grigia (in realtà molto ma molto nera) di cui le autorità e il legislatore si disinteressano, convinti che la privacy si difenda firmando tonnellate di carta ogni volta che porti 10 cc di urina a far analizzare.
Il tema delle fake news è emerso in tutta la sua gravità con la campagna delle presidenziali USA del 2016. Anche in questo caso, come per Brexit, l’indice è puntato contro Russia. Ricordiamo che una lunga inchiesta ha appurato che tali interferenze ci sono effettivamente state ma ci si è limitati a dire che hanno aiutato Trump ma non si è riusciti a dimostrare che Trump avesse concertato tale aiuto (Russiagate “a sua insaputa”).
Da grande piazzista qual è, Trump è riuscito a dare al termine fake news un altro significato: tutto ciò che è sgradito al potere. Ogni volta che uscivano rivelazioni sul suo passato, sul suo essere imprenditore fallito, sull’abuso sua posizione di potere per portare clienti nelle sue proprietà, Trump gridava alla stampa “fake news”.

E’ così che ai suoi comizi il “raiser” (il podio della stampa che però la sua organizzazione definiva ufficialmente “pen” cioè recinto come per gli animali da cortile) veniva assediato dai fan al grido di “Cnn sucks” (Cnn fa schifo) e varie amenità. Trump ha così demolito un pilastro dell’ordinamento informale americano, a bassa intensità di leggi, regole e controlli ma dove la stampa e quindi le denunce pubbliche e concludenti possono far cadere governi. Trump ha delegittimato l’informazione, dando credibilità a propalatori di fake news come INFOWAR che sostiene (tra le altre cose) che i mass shooting siano messe in scena (con attori come vittime) dei federali per limitare il diritto alle armi, in vista di un colpo di Stato. 

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Donald Trump Thinks the Freedom of the Press Is ‘Disgusting’

Trump non è riuscito però a compiere il passo che altri Paesi hanno mosso. Si è “limitato” a minacciare il ritiro delle concessioni per l’etere tv ma non si è dotato di legge anti-fakenews (in realtà nemmeno ci ha provato). In contesti ademocratici o in democrazie più fragili rispetto agli Usa,il suo esempio ha prodotto una scia di leggi anti-fakenews (l’ultima della serie è quella russa dei primi di marzo). 

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Trump’s ‘Fake News Awards’ could violate ethics rules

Si scrive anti-fakenews si legge “no a notizie sgradite al potere”. E ci avviciniamo alla parodia italiana. Ma prima andiamo in Texas