Comincio questo post con delle scuse. Ho pubblicato una foto di me e Gino ma non voglio aderire al malcostume di quelli che celebrano i morti per parlare di se stessi. In questa foto, c’è tutto Gino Strada. E’ stata scatta nel mezzo della tremenda epidemia di Ebola, in Sierra Leone, nel 2015. Il caldo, i rischi, la fatica erano enormi ma si trovava il tempo per sorridere e Gino, dopo aver bestemmiato tutto il giorno per come vedeva trattati i malati in giro per il Paese, poi trovava il modo di ridere quando aveva intorno i suoi, gente che deliberatamente e volontariamente aveva lasciato le proprie comode case per tuffarsi dentro l’inferno di una malattia devastante, solo in nome degli altri.
Gino Strada non era un pacifista o almeno non lo era nel senso classico del termine, l’ho sempre considerato un guerriero della Pace. A lui non bastava declamare principi e diffondere un verbo, quello dell’abolizione della guerra, Gino voleva combattere la guerra con i fatti, per questo dopo anni trascorsi con la Croce Rossa Internazionale in Afghanistan aveva deciso di fondare Emergency. Voleva un modello diverso di aiuto sanitario e di assistenza alle vittime di guerra, l’ha inseguito con caparbietà in maniera profondamente politica ma tenendosi distante dalla “politica”, riuscendo a coinvolgere in un progetto rivoluzionario, a suo modo folle, migliaia di volontari e la borghesia milanese. E’ riuscito a convincere medici e infermieri a rinunciare a stipendi spesso doppi e tripli, quelli che avrebbero avuto con altre organizzazioni internazionali, per andare a rischiare vita e saluti in posti dove il 90% di chi ci legge non metterebbe nemmeno un dito o spedirebbe un pacco.
Gino era ossessionato dalla pulizia e dall’organizzazione, chi in questi anni l’ha dispregiativamente trattato come una specie di hippy della sanità, un sognatore fuori tempo massimo, un residuato bellico del sessantotto, non ne conosceva la sua natura di capo. Nell’ospedale di Kabul, Gino voleva che le rose fossero perfettamente potate e che nel camminamento centrale non ci fosse polvere (prodotto nazionale a Kabul), voleva che i pazienti venissero trattati come sarebbe accaduto in Occidente e che il suo staff internazionale non si comportasse come in gita, pena il rimpatrio immediato perchè quando sei in missione ogni tuo comportamento può mettere a rischio l’ospedale e quindi lo scopo supremo della presenza in loco.
Ho tanti ricordi con Gino, mi stanno scorrendo in testa come in un film. Penso a quando recuperammo il video che provava l’esistenza in vita di Daniele Mastrogiacomo, sequestrato in Afghanistan, e subito dopo – nonostante dovessimo andare in onda – mi dicesse: “Dai beviamoci un goccetto” a voler festeggiare la bella notizia.
Lo ricordo quando il mondo della sanità italiana gli rideva dietro per la sua idea di aprire un centro di cardiochirugia in mezzo a quell’Africa dove si muore di patologie banali. Ce ne siamo ricordati dieci anni dopo alla celebrazione dei dieci anni di quella “follia” che aveva smentito tutti, perchè Gino aveva quella che oggi chiameremo “visione strategica”. Era il 2016 ed io ho filmato il suo ultimo ingresso in sala operatoria, la cosa che lo divertiva di più, purtroppo una dermatite legata ad anni di disinfettanti e prodotti chimici gli rendeva ormai doloroso lavorare in ambiente sterile.
Aveva “visione strategica” Gino, i fatti di questi giorni ce lo dimostrano. Nelle scorse settimane ho scritto per la rivista di Emergency un pezzo che partiva dalla sua gracchiante voce, trasmessa da uno sgangherato telefono satellitare, nel 2001 dal Panshir. Quando sull’Afghanistan cominciavano piovevano bombe, Gino denunciava le follie di una guerra che sembrava giusta a molti, ai più, shockati dall’attacco delle torri gemelle.
Vent’anni dopo, la Storia gli ha dato ragione. Ora tocca agli amici di Emergency di continuare il percorso che ha avviato. Però – vabbè – Gino adesso falla finita, esci da lì dietro e fatti vedere. Tanto lo so che ti sei solo nascosto per capire se saremo all’altezza di continuare a fare quello che tu hai saputo, straordinariamente, inventare.
Grazie. Nico Piro
Bel pezzo Nico, complimenti anche perché le tue testimonianze sono vissute in prima persona!
Che bravo che sei Nico! Ho un amico amico di Gino.
Che emozione!
Sei un giornalista speciale!
Un pezzo di vita quotidiana di Gino.
Complimenti per il tuo lavoro, tanta stima per la forza delle tue scelte, tienici informati.
Grazie
Bell’articolo, grazie, Nici
Grazie, per quanto hai raccontato di lui e della sua splendida creatura, Emergency. Ora tutti insieme, dobbiamo agire affinché Emergency cresca ancora più forte e bella, glielo dobbiamo e lo dobbiamo a tutti gli esseri umani a cui I diritti fondamentali vengono negati quotidianamente .. e lo dobbiamo fare anche per noi.
Guerriero della Pace è perfetto
Bisognerebbe organizzare qualcosa all altezza per ricordarlo. Visione strategica è la parola chiave. Lui e Giulietto Chiesa avevano capito subito dove ci avrebbe portato la ” guerra infinita” dell’Afghanistan. Non hanno ascoltato. Ascolteranno ora ?
GRAZIE!
Grazie anche a te,Nico. Le tue parole sono profondamente vere, non come tante altre che oggi salutano Gino mentre ieri coniavano quella terribile espressione ” taxi del mare” o firmano e finanziano le “peggio cose”.
Sempre perfette le tue parole, Nico, sia che si tratti di cronache di guerra sia che si tratti di un ricordo di un uomo GRANDE come Gino Strada! Complimenti. Che brutta notizia, invece, è stata apprendere della sua scomparsa. Ieri pensavo fosse una fake news!
Grazie Nico, per il ricordo di Gino e per tutto quello che fai come giornalista e come persona.
Caro Gino,
piace anche a me chiamarti “guerriero della pace”, uno come te merita il premio Nobel della Pace: che ci pensino le “grandi menti”, superando vani preconcetti e convenienze.
Non puoi lasciarci così, senza una parola, anche se ce ne hai date tante, manda il tuo sosia, a cui hai insegnato tutto, esattamente come te.
Ti vogliamo bene. Tanto.
Grazie, Nico. C’è davvero Gino, nelle tue righe. Un abbraccio
Euro