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Ieri il presidente Karzai è apparso in televisione a reti unificate per lanciare un appello alla calma rivolto a tutti gi afghani, a quel punto la crisi del “corano bruciato” aveva già raggiunto il suo apice ma quella diretta televisiva è stata la riprova di come fosse la più grave di questi dieci anni di guerra e di presenza occidentale.

Le ondate della protesta anti-americananei primi giorni della settimana potevano fare gioco al presidente nel suo tentativo di apparire come il difensore dell’Afghanistan e della religione prima che di interessi stranieri (accusa che gli si rivolge di solito), ma sabato lo scenario è cambiato completamente quando al ministero degli Interni, il luogo più sicuro del Paese, due consulenti americani sono stati freddati da un agente dei servizi afghani, la cui opera è stata poi rivendicata dai talebani. Secondo un’indiscrezione della France Presse, gli americani avrebbero definito Il corano un brutto libro, da qui una discussione e poi la sparatoria.
Qualcosa di ben più grave delle infiltrazioni talebane tra le reclute di esercito e polizia – cui siamo ormai abituati – perchè al ministero entrano solo truppe (afghane) scelte. Dopo l’episodio la Nato ha richiamato nelle basi i suoi consiglieri militari che lavorano nelle istituzioni afghane, lo stesso hanno fatto – ieri – Francia e Germania. E’ a quel punto che Karzai ha forse capito che le onde della protesta stavano e stanno facendo vacillare anche la sua poltrona.Ma cominciato dall’inizio. La crisi in corso, la peggiore di sempre nei rapporti tra il popolo afghano e l’occidente, nasce da un banale operazione di bonifica per motivi di sicurezza. I militari americani sequestrano un po’ di libri ad alcuni detenuti e li mandano all’inceneritore di Bagram perchè si riteneva venissero usati tra i prigionieri per scambiarsi messaggi. Nessuno pensa che in una religione dove non esistono immagini sacre, quei libri – copie del corano – sono l’immagine in sè della religione. I militari eseguono gli ordini (vi risparmio le interpretazioni complottiste che circolano sull’episodio) e li avviano all’inceneritore, gli afghani della base se ne accorgono e la notizia si diffonde tanto da richiedere una smentita del comandante generale dell’Isaf che così la ufficializza. E’ a quel punto che si mette in moto la macchina che meglio funziona in Afghanistan, quella che trasferisce notizie di bocca in bocca e in ogni passaggio la gonfia di dettagli. Sono cominciate così le proteste di piazza e gli attacchi ad obiettivi occidentali come la sede Onu nella tranquilla Kunduz. Una finestra spalancata per i talebani che, come nel caso dell’autobomba di oggi a Jalalabad, possono cavalcare il risentimento popolare oppure, come nel caso dei consulenti uccisi al ministero, possono rivendicare azioni che magari nascono da episodi isolati e non organizzati.
 
Già le guerre anglo-afghane nell’800 sono state costellate di episodi di violenza di massa, di odio contro l’occidentale (in quel caso l’inglese, oggi l’americano che è sinonimo di tutti gli stranieri). La crisi di questi giorni ha senza dubbio la stessa valenza…gli osservatori distratti o i gli utenti della distratta informazione italiana potrebbero pensare che in Afghanistan è “business as usual”, niente di nuovo sotto il sole, ma non è così. In questi giorni si sta riversando in strada tutta la rabbia degli afghani per questi dieci anni di violenze e di promesse mancate, il rapporto (pur precario) di fiducia tra occidentali e afghani è ormai rotto questo crea una situazione drammatica, di pericolo costante anche quando si tratta di lavorare fianco a fianco che si tratti di interpreti, commilitoni o cuochi come quello che stava per avvelenare un’intera base militare – rivendicano oggi i talebani. Tra l’altro, il clima di totale instabilità e i nuovi dubbi sulle forze di sicurezza afghane stanno facendo ripensare Washington su un’uscita dall’Afghanistan che era stata, poche settimane fa, anticipata addiritutta al 2013.
L’Afghanistan resta in mezzo al guado  è un Paese che non può farcela da solo ma che ormai non può più lavorare con gli occidentali, è questa l’eredità più amara di questi giorni di lutto e violenza. E’ il punto di non ritorno…

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Nico Piro

Provo a dare voce a chi non ha voce, non sempre ci riesco ma continuo a provarci. Sono un giornalista, inviato speciale lavoro per... continua a leggere