Sulla pista di Herat, mi aspettavano alcuni cari amici di Camp Arena, ci siamo salutati e ritrovati a parlare delle cose successe in questi giorni. Mi hanno riempito lo zaino con due panini e due lattine, sapendo che ovviamente, preso fino all’ultimo dal lavoro, avevo omesso i fondamentali per un viaggio così lungo. Ci siamo salutati mentre il C-130 finiva di scaricare i materiali portati da Kabul e si preparava a ripartire.
Ora sono ad Abu Dhabi, nel mio albergo preferito. Preferito sia per motivi scaramantici sia perchè non costa le cifre vergognose di altri posti in città. Ho lasciato i bagagli alla base militare per evitare il peso e il solito sequestro temporaneo di giubotto antiproiettile ed elmetto all’arrivo negli Emirati.
Fuori non circolano convogli blindati, nessuno dei suv che vedo in giro ha una torretta per la mitragliatrice e all’ingresso del ristorante non mi hanno perquisito. Non vedo ragazzi in pantaloncini con la maglietta Army e l’M4 a tracolla. In albergo nessuno si porta dietro custodie per le racchette da tennis riempite da fucile-mitragliatore. Qui non si può comprare da nessuna parte un kalashnikov per 100 dollari.
Le donne in strada non vestono il burqa ma danno l’impressione che se dovessero perdere i bracciali d’oro che hanno ai polsi, non si fermerebbero nemmeno a raccoglierli. Non devo gridare al conducente di cambiare corsia e frenare se vedo nello specchietto arrivare una macchina della polizia, perchè se c’è una IED nascosta che esploda quando noi siamo lontani. I cantieri dei palazzi in costruzione sono sempre illuminati, notte e giorno, come se l’interruttore centrale sia troppo difficile da raggiungere ma non sento il rombo dei generatori elettrici a diesel che da un mese accompagna le mie notti. Posso persino chiedere dov’è un barbiere senza preoccuparmi che dopo la rasatura sembrerei troppo occidentale.
Abu Dhabi come Dubai é uno dei luoghi di transito da e per l’Afghanistan, è anche uno dei luoghi dello shock culturale dove si passa dal Medioevo in salsa irachena di Kabul ad una dimensione che sembra surreale anche quando ci arrivi dal 21esimo secolo di Londra o di Roma. E’ il luogo dove tutte le paure, le tensioni, lo stress nascosti da qualche parte mentre eri in Afghanistan riemergono in superficie e si affacciano in questo mondo di plastica che piuttosto che curarli, questi sentimenti, li amplifica.
L’Afghanistan è di la, da qualche parte a nord-est oltre le acque del Golfo che sudano foschia. L’Afghanistan è da qualche parte in un tempo passato che tiene insieme tutte le barbarie della modernità. In realtà sto già pensando al mio prossimo viaggio in Afghanistan, mentre le famiglie sfruttano i “soli” 40 gradi della notte di Abu Dhabi per parcheggiare i loro suv sul lungomare e fare un pic nic su una striscia di prato, irrigata giorni e notte. Forse al prezzo di dieci pozzi nella provincia ci Farah