C’è grande indignazione su cancellazione del diritto all’ #aborto negli Usa. Purtroppo non c’è una grande analisi sul contesto, tutto viene ridotto ad una vicenda legale e al massimo all’eredità di Trump. Non è cosí ma nessuno pare interessato ad andare al fondo del problema. Anche in questo la guerra non aiuta perchè dopo mesi in cui ci hanno descritto gli Usa come baluardo della democrazia contro la dittatura russa, oggi le critiche sono chiaramente frenate.
Insomma è solo questione burocratica mica ritorno all’800! Del resto poi “se una donna vuole abortire si mette in auto fa un paio di migliaia di chilometri e cambia stato cosa sarà mai!” E poi “negli Usa c’è libertà e quindi la politica vincerà sui parrucconi della Corte Suprema!”
Ecco le cose non stanno cosí. Proviamo a ragionarne. Siamo in una fase di profonda erosione della rappresentanza democratica, soprattutto negli Stati del sud e in quelli più conservatori, con uno sprint negli ultimi mesi, si sta limitando il diritto di voto dei più poveri, tra nuovi obblighi e ridisegno collegi elettorali su base etnico reddituale.
Sono gli stessi poveri che vivono di “food stamps” (MalcomX pensava fosse una marca di cibo il logo del governo sui pacchi di aiuti) in assenza di salario minimo e di sindacalizzazione (arrivata solo ora all’Apple Store, immaginatevi nell’ultimo dinner del Nevada) e che non hanno i soldi per mettersi in auto (un auto spesso non ce l’hanno) per andare ad abortire in uno Stato liberal.
Non è colpa solo di Trump, si sommano gli anni di errori dei democratici che hanno dimenticato la red neck america e la rust belt, il cui revanscismo ha fatto la fortuna del palazzinaro fallito diventato presidente. A ciò si aggiunga la crisi del giornalismo, metà dei posti di lavoro si è perso negli ultimi dieci anni per lo più nell’informazione locale lasciando aree enormi presidiate solo da radio evangeliche e dalla jungla di internet popolata dai vari InfoWar e Qanon che hanno dato sfogo alle paure dei bianchi poveri. Hanno riacceso la partita storica mai chiusa del dopo Ulysses Grant, della lost cause dei confederati, del sogno politico di Lindberg che solo forza politica di un uomo (che nascondeva al pubblico la sua sedia a rotelle) riuscí a fermare con una stagione di progresso.
Nella loro innata presunzione certi giornalisti sono convinti che siano loro a scegliersi le notizie. È vero l’esatto contrario. Quando nell’autunno 2016 arrivo a New York senza uno straccio di indizio da cui partire per raccontare le presidenziali (che all’epoca significava Hillary Clinton e basta) nemmeno il tempo di passare la dogana che ero già pronto ad andarmene il più possibile lontano dalle due coste (e da quell’isola europea sulla costa statunitense) per andare in mezzo a quel nulla dove nessuno va mai ma dove si decidono guerre e presidenti. Arrivo a Springfield, Ohio, la città più infelice d’America (stando alle statistiche). Ho trascorso un mese e migliaia di chilometri ad ascoltare elettori e comizi di Trump con i piedi nella segatura dei padiglioni per le fiere del bestiame o negli hangar di qualche aeroporto privato. È lí che ebbi la certezza che avrebbe vinto il palazzinaro.
L’America è attraversata da una faglia ormai tipica delle società moderne non più divise per classi ma nella contrapposizione tra città e aree rurali, proprio come in Afghanistan o in Thailandia. Nel cuore sconfinato d’America la pandemia (e la conseguente crisi) hanno rafforzato l’idea del governo unico mondiale (che poi gira e volta sempre all’antisemitismo si finisce), della sostituzione della razza bianca, dell’omosessualizzazione forzata contaminando l’acqua (mentre a Flynt, Michigan, l’acqua è avvelenata per davvero ma per colpa della politica), dei mass shooting come messe in scena dei federali per “toglierci le armi”.
Sono città e villaggi dove dai libri di scuola viene cancellato l’evoluzionismo a favore della teoria del creazionismo (sette giorni e affare fatto). Luoghi dove il diritto a possedere armi è sempre più sacro perchè ci si prepara all’implosione del governo federale e alla rinascita di una società patriarcale e ancestrale fatta di feudi protetti non di uno stato nazionale. Sono luoghi dove incontri persone bianche con i segni inequivocabili della povertà, obese e senza denti, ma che pensano che il pericolo per loro vengano dai messicani, quelli che giocano a pallone non a football. Eppure di messicano non ne vedi uno per migliaia di km. Incontri i sindacalisti dell’ultima vera fabbrica dell’area, la Good Year di Acron, Ohio, e capisci come il lavoro regolare e regolato possa salvare una comunità anche nel mezzo di quel cimitero industriale chiamato rust belt. Incontri gente che crede che la sua povertà dipenda dagli ecologisti perchè il carbone non si può estrarre più dagli Appalachi (dove intanto con una macchina si fa il lavoro di 100 minatori) e il fracking rende molto si più. Sono tutte cose che se le guardi dalle due coste non le capisci a vedere una società molto più europea e progressista del “core” americano (dove pure le cose cambiano come dimostra l’Arizona diventato blu).
Ma in quel “nulla” si torna sempre alla lost cause, la guerra civile, la fine della schiavitù e quindi l’indebolimento della razza bianca che si ripete ad ogni evento storico come l’11/9 quando altri “neri” (cioè i mussulmani) si avvantaggiarono della debolezza americana.
E allora bisogna tornare alle origini, ad una società razzista, segregazionista, una “god fearing” country, dove l’aborto è il peccato suprema perchè impedisce ai bianchi (ormai rammolliti dal vizio) di riprodursi e tornare dominanti. No non è solo Trump che è stato bravissimo (chi vi ricorda)? a passare da noto “puttaniere” della città del città del vizio NY a uomo del destino (in senso letterale, mandato dal signore) per gli evangelici (da qui anche la sua grande attenzione per la Terra Santa). Trump ha solo capitalizzato anni di deserto politico dei democratici che oggi danno la colpa ai poveri vittima delle teorie del complotto e non alle elitè che hanno condotto una lotta di classe (cit Warren Buffet) e l’hanno vinta. No la vicenda dell’aborto non è una questione burocratica è il segno della profonda crisi dell’America che ha avrà effetti a cascata nel mondo e su molti altri settori.
La vicenda dell’aborto non è solo una questione che riguarda le donne ma tutti noi. A cosa mi riferisco? Un esempio facile estate 2001 alla Casa Bianca c’è un ex-alcolista (imboscato in Texas ai tempi del Vietnam ma futuro guerrafondaio) che qualche hanno prima stava morendo soffocato guardando una partita di football in tv per via di una nocciolina andata di traverso. Si salva e arriva la conversione. Con la fede rinuncia alla bottiglia conquista una base che sarà cruciale (gli evangelici e le loro radio) per la sua non scontata rielezione nel 2004 ma torniamo all’estate 2001. La Casa Bianca è nel pallone, tutti a parlare di cellule staminali, ossessione di GW Bush. Pare che gli allarmi dell’intelligence sull’11/9 siano stati trascurati perchè obiettivo totalizzante era la messa al bando della ricerca sulle cellule staminali (da feto quindi di nuovo l’aborto). Cosí fu per la gioia anche di qualche disgustoso personaggio italiano.
Quel provvedimento uccise in culla la ricerca che avrebbe potuto cambiare la vita a milioni di disabili nel mondo, ricerca che non si è mai davvero ripresa. Ecco gli effetti della sentenza sull’aborto si espanderanno in ogni settore della società americana. Sembra una previsione azzardata e spero sinceramente lo sia, temo che l’incubo di Paul Auster sia sempre+vicino. Di questo passo sarà sempre più difficile una federazione unita (vedi per ora solo boutade scissione Texas). Ineguaglianze e deficit di rappresentanza politica. All’Italia tutto questo dice nulla?