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Racconto tattico

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Bihac, Krajna Metal
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Sento spesso colleghi difendere l’uso di telecamere “grandi” (parliamo di dimensioni) perchè meglio indentificherebbero il loro ruolo di giornalisti e alla fine porterebbero a farli prendere (di più) sul serio da parte dei vari interlocutori che si incontrano sul campo.
Ho avuto (e spero di continuare ad avere) il privilegio di lavorare in area di crisi, sarà per questo che da sempre guardo all’aspetto tattico degli strumenti di lavoro, in estrema sintesi a come possono o meno influire sul livello di sicurezza e di efficacia di chi li usa per cui da anni non ho più il complesso (almeno nel campo del giornalismo) sul fatto che più grande equivalga a migliore.
Molti videomaker, filmaker, videogiornalisti ragionano in termini di definizione, ottiche, quattro o più kappa quando si parla di camere (aspetti sicuramente importanti) io preferisco valutare come si inseriscono in un determinato scenario, che impatto possono avere sull’identificazione dell’operatore che li usa, come possono resistere all’ambiente di impiego.
Per esempio, posso testimoniare come l’uso dello smartphone (il mobile journalism) garantisce non sono maggior “vicinanza” – in particolare se si intervista e lavora con i vulnerabili – ma anche maggior sicurezza, in contesti in cui i giornalisti sono obiettivi.
Argomenti sicuramente “minoritari” nella “conversazione” globale anche perchè i reporter sinora si sono preoccupati di non apparire bersagli per lo più nelle aree di crisi e zone di conflitto.
Dopo dopo l’assalto a Capitol Hill (in Italia ci sarebbe da ragionare sulle zone a controllo criminale) è apparso chiaro che i giornalisti sono sempre più bersagli non solo a Kabul ma persino a Washington. Al solito quando accade qualcosa negli Usa, accade nel resto del mondo. Così finalmente si è cominciato a smontare il mito dell’identificabilità del giornalista (che poi rientra anche nel tema della tutela della privacy) quando c’è da tutelare la sicurezza.
Ecco la bella analisi (complessiva) pubblica su Poynter, merita di essere letta.
Ora – non fraintendermi – non è l’ora di fare a gara su chi l’ha detto prima e su chi, finalmente, si è convinto dopo. E’ l’ora di dare un’occasione al giornalismo mobile, al mojo, perchè strumenti tattici non significa prodotto di qualità inferiore ma necessità di impararli ad usare e di farlo al meglio, da professionisti.

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Nico Piro

Provo a dare voce a chi non ha voce, non sempre ci riesco ma continuo a provarci. Sono un giornalista, inviato speciale lavoro per... continua a leggere