Un bel po’ di giorni dopo, nel rispetto del lavoro dei colleghi e quindi del meccanismo di abbonamenti e vendite in edicola, pubblico il testo del mio pezzo uscito su Il Fatto Quotidiano, Colgo l’occasione per ringraziare la redazione e il direttore Marco Travaglio per lo spazio che mi hanno concesso.
IL PENSIERO UNICO BELLICISTA E L’INFORMAZIONE CHE NON C’E’
Spero che nessuno di voi lettori abbia mai problemi di salute. Nel caso contrario, vi scongiuro: non cercate specialisti, non fate costosi accertamenti. Pubblicate un vostro video su twitter, sperando di essere trattati come Putin. In breve una schiera di opinionisti con l’elmetto verrà a formulare diagnosi che nemmeno un medico dopo giorni di esami. A cavallo dei primi mesi di guerra, con questa bizzarra telemedicina, a Putin è stato attribuito dal Parkinson all’agorafobia. Parte di quella narrazione secondo cui il conflitto non solo sarebbe finito presto ma anche nel migliore dei modi.
Usando la metafora bellicista ormai tanto cara ai media (che ne abusano, si tratti della “battaglia” con una malattia o di un confronto calcistico) dopo un anno di conflitto siamo alla Caporetto dell’informazione, ormai aggregatasi al marketing della guerra.
Pluralismo e Senso Critico
La tanto invocata no-fly zone non è stata imposta nei cieli ucraini ma sulla conversazione pubblica. Impedisce alle voci per la pace di levarsi; poco importa se provengano da fuori o da dentro le redazioni.
Pedagogia
L’informazione dovrebbe raccontare fatti, aiutare la società a farsi un’idea. A reti e colonne unificate gli opinionisti con l’elmetto continuano, invece, a spiegare agli italiani che tifare guerra è l’unica scelta giusta e morale.
Popolo
I sondaggi ci dicono che la stragrande maggioranza degli italiani sono contro la guerra e contro l’invio di armi all’Ucraina. Il loro punto di vista non solo non trova spazio sui media (salvo poche eccezioni) ma viene irriso. Sembra ormai di vivere l’aneddoto su Stalin che si racconta ancora oggi in Russia: “Segretario, il popolo è contrario”. “Cambiate il popolo!”.
Competenze
Dopo anni in cui hanno spiegato agli ingegneri perché è caduto il ponte Morandi e ai medici come gestire il contagio Covid, calzato l’elmetto gli opinionisti oggi spiegano a militari e inviati di guerra cosa sia un conflitto. A tratti ormai assomigliano a “Baghdad Bob”, il ministro dell’informazione irachena nel 2003.
Fonti
Si è individuato il campo della verità (l’Ucraina) e quello della menzogna (la Russia). Di questa guerra sappiamo poco o nulla, a cominciare dal numero dei caduti. Eppure leggiamo titoli come “Uccisi oggi 824 russi”. Una precisione non credibile nel tragico “tritacarne” del conflitto ma la notizia arriva dopo molte righe: “A comunicarlo è il ministero alla difesa di Kiev”. Fonti indipendenti.
Linguaggio
Anche le parole sono state piegate alla narrazione bellicista, da “conflitto non provocato” frase ormai standard per i media Usa a “mercenari”. Ricordate come in Iraq quelli occidentali dovessero essere chiamati “security contractors”? Ricordate le destre a difesa del povero Quattrocchi che doveva essere definito “guardia di sicurezza”?
In Ucraina, i russi mandano a combattere mercenari. Persone cattive, senza ideali.
Le Armi
Rinunciando a ricordare, quali conseguenze ha scatenato il fiume di armi inviato dagli Usa in Afghanistan (sin dagli anni ’80) e in Iraq, l’informazione si è trasformata in una sorta di ufficio promozione del complesso industrial-militare. Prima i Javellin, poi gli Himars, i Leopard, domani gli Atacms e gli F-16. Cambia il prodotto ma i titoli restano sempre gli stessi: “L’arma che può cambiare il conflitto”. Conta poco che poi non lo cambi.
Trasparenza
Nonostante si parli di armi ormai prima e dopo i pasti, la notizia forse meno raccontata di questa guerra è quella che il nostro è l’unico tra i grandi Paesi al mondo a non dichiarare quali armi sta inviando in Ucraina. Evidentemente ai media sta bene così, del resto parliamo “solo” di un miliardo di euro.
Analisti
Chi credeva che si occupassero di campioni di sangue e di urine, si è dovuto ricredere. Gli analisti “divulgano” la guerra e hanno sostituito i virologi nello spazio mediatico. Molti sono legati a centri studi, come il Cepa, finanziati da produttori di armi. Per sapere chi li paga deve però ingegnarsi il lettore.
Anna Politkovskaya
La figura meno citata di questo anno di guerra. Eppure ha denunciato l’orrore ceceno e il sistema putiniano meglio di tutti. Dal 7 ottobre del 2006, giorno del suo omicidio, nessuno può dire di non sapere chi fosse il dittatore russo. Non l’abbiamo scoperto il 24 febbraio 2022, ma ci fa comodo pensarlo per salvare chi lo definiva “sincero democratico” e chi firmava contratti milionari. Aiuta a dimenticare i veri filo-putiniani e ad accusare i pacifisti di esserlo.
Demonizzazione del nemico
Come ci ricorda James Hillman, non c’è guerra senza nemico. E il nemico va costruito fino a rendere qualsiasi soluzione che non sia la guerra inaccettabile all’opinione pubblica, perché non si tratta con i mostri.
Santificazione dell’alleato
Si è rinunciato a raccontare errori e limiti dell’Ucraina. Dall’irresponsabilità nel negare che l’S-300 caduto in Polonia fosse proprio al considerare un eroe il collaborazionista nazista Stephan Bandera, co-responsabile del massacro di polacchi ed ebrei. Denunciare queste derive ipernazionaliste aiuterebbe a smontare la propaganda putiniana sulla denazificazione ucraina.
Democrazia
A giustificare la risposta armata di Kiev all’invasione russa è il diritto alla difesa dell’integrità territoriale. Ma alla narrazione bellicista non è bastato: la guerra è diventata difesa della democrazia. Peccato che l’Ucraina non lo sia. Nel democracy index è all’87mo posto, classificata come “hybrid regime”. Condivide con tutto il blocco post sovietico gli stessi problemi: dalla corruzione al dominio degli oligarchi.
Disinformazione
La categoria più abusata di questo anno. Tecnicamente, la disinformazione è la diffusione di notizie false fatte fatte passare per vere. Per esempio attraverso finte testate, inserzioni a pagamento, manovre sui social. In Italia, è diventata disinformazione qualsiasi opinione diversa dal Pensiero Unico Bellicista.
Risorse Umane
Abbiamo consentito all’Ucraina di selezionare il personale giornalistico che può coprire il conflitto: alcuni vengono tenuti in stato di fermo, ad altri si impedisce di entrare nel Paese, altri ricevono ordini cavallereschi dal governo.
Rocchelli e Mironov
Sulla tragica uccisione, in Donbass nel 2014, di Andrea Rocchelli e Andrei Mironov abbiamo verità. L’ha scritta in una sentenza il tribunale di Pavia, poi annullata per la mancata cooperazione della magistratura ucraina. Nel farlo però la Cassazione ha confermato che i nostri colleghi sono stati uccisi dai soldati di Kiev. Oggi l’Ucraina chiede, giustamente, che si puniscano i crimini di guerra di cui accusa i russi. L’informazione italiana si unisce a questo coro, funzionale non alla giustizia ma a rendere la guerra giusta. Il coro “stecca” quando dimentica di chiedere all’Ucraina di consegnarci i colpevoli del crimine di guerra commesso uccidendo Mironov e Rocchelli.
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E’ ora che il pluralismo torni ad essere un valore. Il Pensiero Unico Bellicista sta corrodendo la democrazia.
Se oggi non possiamo parlare di pace senza essere definiti traditori della patria al soldo del nemico, domani di cosa NON potremo parlare?
Che fare?
Cogliere l’opportunità che questa crisi ci offre: parlare di conflitti colpevolmente ignorati, dallo Yemen alla Siria passando per la Palestina; superare la divisione tra morti di serie A (raccontati) e di serie B (ignorati); rilanciare la sfida di Gino Strada per l’abolizione della guerra.
Nico Piro è un inviato speciale del Tg3, autore di “Maledetti Pacifisti – come difendersi dal marketing della guerra”
Nico Piro grazie sempre per le preziose informazioni!🏳️🌈