Prima di entrare nei dettagli, diamo una risposta generale al quesito nel titolo: sta accadendo esattamente quello che era facile prevedere che accadesse.
L’accordo di Doha voluto per motivi elettorali ed economici da Donald Trump è servito all’America per tirarsi fuori dal suo conflitto più lungo (Biden l’ha applicato senza batter ciglio) ma non è mai stato un accordo di pace per l’Afghanistan bensì un accordo tra americani e talebani per giunta con obblighi minimi per gli studenti coranici (non hanno rispettato nemmeno quelli). Insomma solo una scusa per cancellare il fallimento della missione afghana.
Dalla firma dell’accordo (febbraio 2020) ma anche nei precedenti mesi di trattative, i talebani hanno intensificato le operazioni militari contro il governo, quando in primavera gli americani hanno cominciato a smantellare la loro presenza militare (quindi si sono ridotti fino a cessare i raid aerei a supporto dell’esercito di Kabul) i talebano sono passati all’assalto finale.
Al momento controllano diversi valichi di frontiera (fonte di incassi non secondari) in primi quelli con l’Iran nella provincia di Herat, quelli al nord e infine il cruciale passo di Spin Boldak nel sud. Stanno attaccando tre tra le principali città del paese: Herat, Lashkargah e Kandahar. Hanno conquistato buona parte del nord (preoccupando non poco le confinanti ex-repubbliche sovietiche d’Asia che stanno, non a caso, conducendo esercitazioni militari con i russi). In qualche modo si sta ripetendo la manovra degli anni ‘90 che portò i talebani a conquistare il Paese e quindi la sua capitale. L’esercito afghano è in pieno attacco di panico e si sta ritirando nelle aree rurali di fronte all’avanzata talebana, sconta la corruzione (di questi giorni l’ennesimo caso di furto di carburante organizzato da alti ufficiali) e la sua cronica incapacità logistica.
I talebani in questi anni hanno profondamente cambiato il loro modo di comunicare e di proporsi come soggetto politico a livello internazionale ma non hanno cambiato linea, la probabile implosione del governo di Kabul (con i suoi corrotti politici pronti alla fuga all’estero dove hanno messo da parte fortune) riporterebbe la sharia ad essere la legge del Paese. Gli attacchi, in corso da mesi, contro donne, attivisti dei diritti civili, minoranze etniche e giornalisti ne sono un anticipio.
L’ultimo rapporto dell’Unama sulle vittime civili conferma come il Paese stia sprofondando sempre più nell’abisso con un incremento del 50% di morti e feriti innocenti rispetto all’anno scorso e, soprattutto, un trend d’aumento cominciato dopo il primo maggio, cioè dopo l’inizio del ritiro americano. Tra l’altro per delle forze armate abituate alla retorica e ai simboli come quelle americane, è significativo notare che la base simbolo di Bagram è stata abbandonata alla chetichella (di notte dopo aver causato un black out) e non ci sono state cerimonie di “coming home” nè di passaggio delle consegne con i governativi. Nulla al contrario, per esempio, dell’ “ultimo uomo sul ponte” dei sovietici nel 1989.
Intanto circa 30mila afghani lasciano il Paese ogni giorno e 3 milioni di afghani sono sfollati all’interno dei confini. Si prepara un nuovo grande esodo verso l’Europa. Ma quando accadrà parleremo dei migranti non di una guerra sbagliata e di una finta pace, persino peggiore della guerra.