Domenica primo dicembre a Salerno, ho azzardato. Ho tentato un esperimento a cui tenevo tanto e che immaginavo di realizzare da tempo, ma che poteva finire “male”.
Tutto è cominciato nel 2015: era la prima volta in cui lasciavo casa, a lungo, per lavoro. Era anche la prima volta in cui il mio (allora unico) figlio, Alexander, era in grado di valutare e commentare la mia assenza avendo ormai due anni e mezzo d’età.
L’accordo con mia moglie era quello di dirgli che ero al lavoro, per fargli capire che – insomma – non avevo abbandonato né lui né la casa per motivi futili ma per necessità. Comunque sia non era una spiegazione facile, tanto che dopo alcuni giorni durante una conversazione telefonica, mio figlio mi chiede – alquanto preoccupato – perchè mai non mi lasciassero uscire da Saxa “Lubla”. E’ a quel punto che ho cominciato a mandargli foto della Sierra Leone, dove avanzava l’epidemia di ebola; foto del mio lavoro e di chi l’epidemia combatteva. E’ cominciata lì la mia sfida di papà: raccontare a mio figlio (dopo qualche anno ai miei figli, cioè anche a Caterina) le “brutte notizie”, cioè le cose di cui mi occupo, farlo senza bugie ma anche senza eccedere nei dettagli e nelle descrizioni che potrebbero portare a inutili traumi e a chiudere canali di comunicazione, senza aggiungere nulla alla possibilità di capire e comprendere.
Grazie all’ospitalità (diciamo anche al coraggio) del Centro Regina Senatore che tanto lavora con i bambini, sono riuscito ad tenere un incontro intitolato “La guerra spiegata a mio figlio” ed aperto a bambini di fasce d’età diversa. A partecipare una dozzina di piccole e piccoli (dai 4 ai 12 anni) in una sala, lungo le cui pareti sedevano i loro genitori che – forse per curiosità, forse per “paura” – sono rimasti dall’inizio alla fine.
E’ stato un viaggio di circa un’ora che ha messo insieme il gioco e la visione (per smontare la falsa e retorica immagine della guerra che ci viene proposta), percorrendo una fune tesa in equilibrio tra la verità (o meglio la non-bugia) e la semplificazione, tra la crudezza del mondo e la delicatezza del linguaggio.
Alla fine i bambini sono andati via felici, nessuno ha pianto, sembravano felici di aver capito cose nuove, di quelle che a loro nessuno prova mai a spiegare. Ho visto andare via sorridenti ed emozionati anche i genitori. Quello di papà e mamma è il mestiere più difficile del mondo, a volte ci sono terreni sui quali i genitori vorrebbero addentrarsi ma non hanno gli strumenti per farlo e così desistono o si affidano alla “televisione”. Spero che l’iniziativa possa ripetersi per aiutare i bambini a capire ma anche per dare un supporto ai genitori così da continuare quel dialogo a casa, nel quotidiano.
L’incontro più difficile, la guerra spiegata ai bambini
Nico Piro
Provo a dare voce a chi non ha voce, non sempre ci riesco ma continuo a provarci. Sono un giornalista, inviato speciale lavoro per... continua a leggere