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Se trent’anni sono pochi

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Trent’anni fa in un giorno imprecisato di settembre, in una Salerno all’epoca senza luminarie ma con un bel fermento culturale (Michele Schiavino su tutti) e un vivace panorama di giornali, radio e tv, cominciavo il mestiere di giornalista.

Avevo grande entusiasmo ma poche speranze, tra colleghi cassintegrati, contratti Treu, i soliti raccomandati e testate che chiudevano a raffica (due delle “mie”, nei prime due anni di lavoro). Con il 90% di possibilità di non farcela a diventare giornalista, mi iscrissi ad Economia e Commercio. Della serie “nel caso, tento i concorsi pubblici…”.

Ricordo le domeniche mattina passate con Donato Gaeta a fare il notiziario della nostra piccola radio (poi diventata tv), la macchina da scrivere, i pezzi in triplice copia con la carta carbone, la (unica) telescrivente Ansa e le mie provocazioni politiche all’occhettiano Ernesto Scelza (non ho smesso con le provocazioni).

Sarebbero tante le persone che dovrei citare e ricordare, tanti quelli con cui ho lavorato insieme o anche solo in concorrenza ma sempre con gran piacere, gioia e rispetto. Sbagliando a citarli – perchè di sicuro dimentico tanti altri – penso a Gabriele Bojano che inseguiva i Rockets in giro per il sud Italia Gianni Giannattasio con le sue lezioni dedicate alla regola dei “cinque da assumere” (1 psi, 1 pci, 2 dc, 1 che lavora), sulle panchine del lungomare che all’epoca aveva ancora le palme, Mariano Ragusa con le sue telefonate a qualsiasi ora del giorno e della notte per confermare notizie ed esplorare dubbi, Eduardo Scotti con il suo imperturbabile aplomb, sempre in controllo della nave. All’epoca non esistevano ancora Scienze della Comunicazione e le Scuole di Giornalismo, il mestiere si imparava tornando a casa alle undici di sera sotto la pioggia battente perché eri uscito di casa alle otto del mattino e c’era il sole. Si imparava litigando col segretario generale che ti aveva trovato con in mano i fascicoli del consiglio comunale prima che cominciasse e tu gli gridavi che c’era la legge sulla trasparenza (aveva ragione lui, non potevo fregarmi documenti dall’archivio e leggerli mentre lui impazziva a cercarli in giro).

Si imparava dai giornalisti “nazionali” che venivano in provincia a raccontare storie e di cui ti bastava una parola per essere felice, mentre li portavi a prendere un dolce da Mario Bassano, anche se alla fine eri tu a dare le notizie a loro. Si imparava da personaggi che conoscevano a malapena l’italiano ma di notizie ne capivano o andando in giro con telecineoperatori come Mario Lo Bianco (perchè non mettesse il grasso nelle molle della Renault 4 non l’ho mai capito) o Carmine Giannattasio che restano tra i “choseen few”, i migliori con i quali io abbia mai lavorato.

Si imparava lavorando al “nero”, non da precario come oggi ma da “abusivo”, in pratica eri un fantasma in redazione ma lavoravi come gli altri e qualcuno ti pagava o con un “borderò” (scritto così) di pezzi anche se ne avevi fatto il quadruplo, oppure in contanti e “stai bene così”. Sono stati gli anni delle inchieste giudiziarie con i pezzi di Luciano Pignataro che all’epoca non faceva tremare gli chef sin dalle prime righe ma politici e anche magistrati (in tv c’erano le inchieste di Aldo Bianchini di cui a volte bastava il trailer per far piovere telefonate nella tv oggi di Ettore Lambiase ). Poi a furia di veder chiudere testate, l’incontro con Antonio Pastore, via Cervantes 55 a Napoli e tutto quello che ne seguì.

Questo non è un post nostalgico o almeno non vorrebbe esserlo. Voglio solo dire che senza tutto quello che ho imparato in quegli anni – comprese “Interviste alla gente” per stata – non mi sarei mai potuto muovere agevolmente come faccio oggi in luoghi come Kabul. Tante incazzature (quelle non mancano nemmeno ora, eh…) tanti dubbi, tante incertezze ma era davvero un bel gruppo di giornalisti quello e poi le lacrime di mia mamma Elvira Chiancarella Cavalli al mio primo pezzo alla radio, indimenticabili.

Trent’anni cavolo! il tempo passa ma la voglia di raccontare è sempre la stessa anzi è persino cresciuta.

E comunque per chi se lo chiedesse, è vero: ho cominciato a lavorare quando avevo sette anni, sommateli a trenta di giornalismo e avrete la mia età.

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Nico Piro

Provo a dare voce a chi non ha voce, non sempre ci riesco ma continuo a provarci. Sono un giornalista, inviato speciale lavoro per... continua a leggere