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Dimenticare l’Afghanistan

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Un camion-cisterna, piena di esplosivo, è riuscito ad arrivare sin nel cuore di Kabul, a Wazir Akbar Khan, il quartiere più “esclusivo” della città dove vivono le famiglie benestanti e gli ultimi occidentali, dove hanno sede ambasciate e uffici di organizzazioni internazionali.
Il semplice fatto che il kamikaze sia riuscito a portare la sua bomba su ruote sin lì è di per sé una misura della capacità del governo di difendere non solo la capitale ma persino il perimetro vicino al palazzo presidenziale, in pratica sé stesso.
Il bilancio è drammatico e provvisorio: almeno 90 morti e 460 feriti. Molti di quest’ultimi passeranno nella lista dei deceduti o dei mutilati a vita.
Non esistono attentati “logici” ma questo è stato talmente “assurdo” e orrendo nella sua missione di fare vittime civili che persino quei taglia-gole dei Talebani hanno preso le distanze. A rivendicare è stato l’ISIS o meglio la locale filiale del sedicente stato islamico, frutto di una scissione nei Talebani afghani (finiti in pezzi dopo l’ufficializzazione della morte del Mullah Omar) e delle offensive pakistane che hanno spinto i Talebani di quel Paese a stabilirsi oltre-frontiera.
Non è il peggior attentato della storia recente del Paese, che in realtà potremmo definire come un paragrafo – quello occidentale e post-occidentale – del quarantennale capitolo di un volume di conflitti che copre diversi secoli.
Questo attentato non sarà nemmeno l’ultimo, è l’unica certezza che abbiamo al momento.

Con le vittime civili al loro record storico (recente), la produzione di oppio ai massimi, il governo in crisi, un apparato statale debole e corrotto, la guerriglia in controllo di sempre più vaste parti del Paese, ci sono tutti gli elementi per configurare uno scenario molto simile a quello dell’Iraq quando l’ISIS cominciò a conquistare il triangolo sunnita (questa volte lo scenario sarebbe diverso, ben più frammentato, ma similare negli effetti).
L’evento di oggi (ieri in realtà, visto che sto scrivendo dal fuso orario della costa orientale degli Stati Uniti) potrebbe accelerare la scelta di Donald Trump di rafforzare la presenza militare statunitense nel Paese, aprendo uno scenario bellico che aggiungerebbe un’altra variabile ad una situazione già complessa.
A parte questa (ormai scontata) scelta di Washington, non si vedono sforzi per fermare le interferenze pakistane né per bloccare la corruzione che mina l’esistenza stessa dello Stato.
In questi anni – nel mio piccolo e anche con il mio libro, faticosamente arrivato sugli scaffali – ho provato a mantenere “accesa” l’attenzione sull’Afghanistan (è’ stata una “testimonianza” e come tale vissuta caparbiamente).
Quello che i governi e i media occidentali hanno fatto è stato esattamente l’opposto. La politica ha deliberatamente dimenticato Kabul per non fare i conti con i risultati di 13 anni di conflitto, di cooperazione, di strategie e di spese. I media hanno rincorso le emergenze e le ultime Breaking news, con l’ultima che spinge fuori dalle home-page la penultima.
La situazione afghana continua a precipitare, i lampi delle esplosioni e i corpi fatti a brandelli ci risvegliano per qualche minuto ma torniamo subito dopo in modalità “oblio”.
Il rischio è che presto ci ritroveremo a occuparci di Afghanistan, rincorrendo eventi che – come sempre è stato in questo Paese – potrebbero essere destinati ad avere ripercussioni planetarie.

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Nico Piro

Provo a dare voce a chi non ha voce, non sempre ci riesco ma continuo a provarci. Sono un giornalista, inviato speciale lavoro per... continua a leggere