Sono circa le diciotto di ieri pomeriggio, a Kabul è ormai sera, quando l’Isaf diffonde una nota del comandate in capo della missione Isaf, il gen. Allen che si dice “enormemente orgoglioso di quanto rapidamente le forze di sicurezza afghane hanno risposto agli attacchi odierni a Kabul. Sono arrivati sul posto immediatamente, ben guidati e ben coordinati”.
Negli stessi momenti i combattimenti – in corso dal primo pomeriggio e a quel punto fermati solo nell’area delle ambasciate mentre i quartieri sotto attacco erano tre – riprendevano con vigore soprattutto nell’area del parlamento sulla strada per il palazzo presidenziale. Le forze di sicurezza afghane che hanno reso Allen “enormemente orgoglioso” uccideranno l’ultimo talebano solo dopo l’alba di stamane, diciotto ore dopo.
L’altro momento rivelatore della giornata di ieri è quando il parlamento sotto attacco viene difeso anche da deputati e senatori, Mohammad Nahim Hamidzai, rappresentate della provincia di Kandahar, racconta di aver sparato 4-500 proiettili dal suo kalashnikov. Altro che ironia sui signori della guerra eletti in parlamento! Come racconterà la parlamentare Shukria Barakzai, le guardie del parlamento hanno dovuto resistere per un’ora in attesa dei rinforzi.
L’attacco coordinato avvenuto in più punti della capitale e in contemporanea contro obiettivi governativi nella provincia di Logar, Paktia e contro l’aeroporto di Jalabad segna l’inizio dell’offensiva di primavera dei talebani. Esattamente come l’anno scorso si tratta di attacchi che tutto sommato hanno, in termini di perdite e di danni, effetti limitati (per carità una vittima è sempre una di troppo) ma non era questo lo scopo dei talebani. Gli uomini del clan Haqqani (per essere più precisi – mafiosi più che integralisti) hanno dimostrato di nuovo di poter colpire all’interno della capitale, indisturbati. Attacchi ad alto impatto mediatico che vogliono far sapere (e ci riescono) a tutti gli afghani dell’inadeguatezza delle truppe governative che dovranno prendere in carico la sicurezza del Paese tra due anni, quando l’Isaf andrà via.
Di nuovo, la guerriglia ha dimostrato di aver basisti, infiltrati e un’ottima intelligence e capacità di pianificazione. Sono riusciti ad attraversare inosservati il cosiddetto “ring of steel” (l’anello di posti di blocco che da un paio di anni circonda il centro città), sono riusciti ad attestarsi in edifici in costruzione dove avevano – probabilmente – nascosto le armi e le munizioni utilizzate, sono riusciti a tener la città per diciotto ore sotto il coprifuoco della paura. Le parole del generale Allen non serviranno di certo a convincere gli abitanti di Kabul del contrario, anzi fanno venire in mente le denunce venute dall’interno delle forze armate americane sulla propaganda dei comandanti dell’Isaf.
Di nuovo, sì perché nonostante si continui a parlare (nell’informazione italiana) di attacchi “senza precedenti”, questo attacco è una fotocopia (seppur più elaborata) di quello che a settembre ha tenuto in scacco il quartiere più sorvegliato della città. E’ proprio questo avere “precedenti” che rende più tragico e più sinistro quanto accaduto tra domenica e lunedì a Kabul.
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