La data di ieri verrà ricordata nella storia del conflitto afghano post-11 settembre.
Ieri è definitivamente crollata la speranza che il (già vacillante) programma occidentale di uscita dal Paese potesse essere attuato come previsto.
In realtà la “transizione” ovvero il passaggio delle competenze sulla sicurezza dalle truppe Isaf alle truppe afghane entro il 2014, attraverso di un programma di addestramento militare sempre più inteso e altrettanto intense trattative di pace, da tempo sembrava solo un modo per lasciare il paese senza ammettere gli errori commessi in questo conflitto. Ieri però le cose si sono ulteriormente complicate.
Karzai ha incontrato Leon Panetta, il ministro alla difesa americano (per inciso, non mirava a lui ma ad un alto ufficiale Nato l’interprete afghano trasformatosi in kamikaze sulla pista della base di Kandahar, il giorno prima) e gli ha fatto sapere che vuole le truppe Isaf fuori dalle aree rurali afghane a partire dal 2013. Visto che l’Afghanistan è un enorme area rurale e visto che è lì che si svolgono i combattimenti (non nelle poche aree urbane, terreno invece per attentati), la richiesta di Karzai equivale ad anticipare il ritiro al 2013.
In contemporanea, i talebani hanno fatto sapere di aver sospeso le trattative di pace con gli americani. Per la verità parlare di trattative di pace è arduo, dopo anni di tentativi negli ultimi mesi qualcosa si sta muovendo – grazie all’idea di aprire un ufficio talebano in Qatar – ma siamo alle fasi preliminari. Le fasi in cui le parti si danno prova della reciproca sincerità, in questo caso, attraverso lo scambio di prigionieri: cinque comandanti talebani detenuti a Guantanamo (da trasferire ai domiciliari in Qatar) in cambio un americano – non è chiaro di chi si tratti.
I talebani non hanno precisato quale sia il prolema ma è chiaro che l’amministrazione americana sta affrontando grossi resistenze interne (vedi la posizione dei Repubblicani) perchè il rilascio di prigionieri non fa parte della prassi diplomatica statunitense.
Senza considerare che le lungaggini americani assieme ai fatti di cronaca (Corano bruciato, la strage di civili a Kandahar) non fanno altro che giocare a favore di quelle componenti talebane che preferiscono aspettare il ritiro piuttosto che trattare.
Un colpo alle gambe, entrambe le “gambe” (la durata della presenza militare e le trattative di pace) della transizione…una exit-strategy che rischia di ritrovarsi senza via di uscita.