Gli americani lo cercavano dagli anni ’90, quando lo mancarono almeno in tre occasioni; un ipoteca che ancora grava sulla presidenza Clinton. All’epoca Bin Laden guidava la sua milizia privata in Afghanstan, viveva in una cittadella fortificata alle porte di Kandahar e viaggiava sulle strade al confine col Pakistan che aveva fatto costruire durante la guerra anti-sovietica con i mezzi dell’azienda edile di famiglia. Ma il grande fallimento americano risale alla fine del 2001, ad Afghanistan ormai invaso, le radiotrasmittenti gracchiavano gli ultimi ordini dello sceicco del terrore ai suoi uomini, rintanato nelle grotte di Tora Bora.
L’assedio venne condotto da soli 70 militari americani. A seguire l’operazione c’erano 100 giornalisti. Ormai spacciato Bin Laden fuggi’ comprandosi i mercenari afghani che aiutavano gli americani. Da allora si è favoleggiato sul suo nascondiglio, ma era ormai chiaro che non fosse in uno dei remoti scenari montani dove amava farsi riprendere.
E così l’hanno preso dove la resistenza afghana anti-sovietica ha fatto base per anni, tra Peshawar e Islamabad in Pakistan, a cento metri da una base militare pakistana. La vera novità che racconta la morte di Bin Laden è proprio l’atteggiamento dei servizi pakistani. L’Isi che negli anni hanno organizzato i mujaheddin, poi creato i talebani e che ora sostengono la guerriglia anti-occidentale in Afghanistan.
Sin’ora avevano bloccato ogni operazione americana sul loro territorio, tra sabotaggi e soffiate, come quando avevano arrestato a Karachi il capo militare dei talebani afghani per far fallire le trattative di pace sul governo Karzai. Se davvero l’Isi ha cambiato rotta, le prossime fermate per le forze speciali americane potrebbero essere il rifugio di Al Zawahiri, braccio destro di Bin Laden, e quello del Mullah Omar, leader indisscusso dei talebani. Entrambi rifuggiati in Pakistan, secondo più fonti.
A proposito di fonti, a chi sarà andata la taglia di 25 milioni di dollari che pesava sulla testa di Osama?