Non so se sia illegale, in America lo sarebbe stato di sicuro, in Italia non so. Non me l’hanno chiesto in aereoporto, non me lo sono chiesto nemmeno da solo, per distrazione più che altro. Dal mio ultimo viaggio afghano ho riportato a casa un paio di chili dei miei pistacchi preferiti. Comprati da Salahuddin, nel suo negozio stracarico di frutta secca, pistacchi e mandorle nel cuore di Shar-e-Now a Kabul.
I pistacchi afghani sono magici, ogni volta che entri in casa – anche in quelle più povere – ti aspettano a terra in un piccolo vassoio assieme all’uva passa e a qualche caramella confezionata in Pakistan; novità recente, “del benessere” che ha soppiantato le caramelle artigianali vendute dai carretti per strada fino a qualche anno fa. Mentre la malintesa modernità segna le strade della capitale assieme ai cantieri della speculazione edilizia, i pistacchi afghani vengono dal nord del Paese. Io amo quelli della provincia di Baghdis, dove crescono spontanei e sembrano quasi “foreste”. Sono più buoni di quelli iraniani che si riconoscono per la pennellata di giallo (zafferano?) sul guscio, qualcuno mi ha detto che una volta sono stati persino tra i protagonisti di Terra Madre a Torino. I pistacchi di Bagdhis costano più di quelli iraniani, devi insisterli per averli perchè si vendono con più difficoltà.
In Italia, li sguscio, li lavo e butto via una tonnellata di terra rossa, la polvere afghana che penetra dappertutto. Li offro agli amici o ci faccio un pesto che incanta tutti. Non sono salati i pistacchi afghani ma hanno più carattere, un gusto delicato ma più deciso di quelli italiani e mediterranei in genere, tanto che per un dolce non li userei mai. Insomma, sono quasi la sintesi di un Paese.
Che c’entra tutta questa storia sui pistacchi afghani con l’Afghanistan? Con la guerra? Con il corano bruciato? Con le sofferenze di un intero popolo? Beh, c’entra nella misura in cui a volte voglio pensare al Paese più bello del mondo per la sua bellezza, per l’ospitalità della sua gente, per i sapori regalati dalla fatica su terra desertica anche quando è fatta di pietre e non di sabbia. A Baghdis, c’è Bala Morghab, il fronte nord degli italiani, di quella provincia sentiamo parlare solo per i combattimenti non per “tesori” come questi. In quei pistacchi forse c’è una speranza per l’Afghanistan, come c’è nello zafferano, nei semi di sesamo, nei melograni, in un’agricoltura capace di ricostruire l’immagine di un Paese oltre che di sfamarlo.
[…] per dire “grazie”, ed è anche il blog di Nico Piro inviato del TG3. L’ultimo post, “Per un pugno di pistacchi”, ha spazzato via un po’ di polvere, ha colorato, per un attimo, l’immagine sbiadita di un paese […]