Ieri sera il portiere di un albergo ci ha detto che, nella notte, sarebbe partito un barcone per Lampedusa, il mare era finalmente calmo. Stamattina ce l’ha detto anche l’uomo dell’autonoleggio; a Zarzis sapere dei barconi è come chiedere informazioni su un autobus.
So molto poco della Tunisia, è la prima volta che ci vengo ma quello che vedo mi stupisce. Comincio a capire perchè sia cominciato proprio qui l’effetto domino delle rivoluzioni mediorientali, del 1989 di questa sponda del Mediterraneo.
I tunisini stanno dando un incredibile prova di solidarietà: portano pane, acqua, datteri ai profughi di Ras Jedir. Arrivano con le loro auto imbandierate, aprono le loro scuole per dare un tetto a questa marea umana di povera gente. Si è mobilitato anche l’esercito tunisino, la mezzaluna rossa, la protezione civile; come se questo Paese non avesse già i suoi problemi, si è fatto carico anche di quelli degli altri, di quelli che avrebbe potuto tranquillamente respingere, lasciare a marcire di sudore e sete dietro il cancello blù della frontiera libica.
Mentre le organizzazioni umanitarie internazionali come l’Unhrc arrancano, i governi stranieri che dovrebbero occuparsi dei loro concittadini latitano, i tunisini stanno facendo una grande figura. Si sentono orgogliosi di aiutare gli altri, per loro è patriottismo. E poi lo fanno sorridendo: sarà l’aria della rivoluzione.
Ieri, con Gianfranco, abbiamo incontrato un ufficiale dell’esercito che – senza prosopopea – dirigeva i lavori per montare una tendopoli. Gli abbiamo chiesto come mai fossero così contenti di aiutare degli stranieri (egiziani, tailandesi, bangladeshi…), nemmeno tutti arabi o mussulmani. Ci ha sorriso e ci ha detto: “Perchè questo è il Mediterraneo. Tutti i popoli che lo abitano sono fratelli. Noi aiutiamo la gente che fugge dalla Libia, come voi aiutate chi arriva a Lampedusa”. Il pensiero veloce è andato agli italici respingimenti in mare, e a quali discorsi avremmo forse sentito se tutto ciò fosse successo oggi In Italia. A quel punto, mi sono un po’ vergognato e ho abbassato la testa.
Al confine la situazione sta migliorando, almeno al posto di frontiera dove non c’è più la marea umana di ieri ma una lunghissima e ordinata fila; qualcuno la interpreta come un tentativo libico, a monte, di bloccare l’esodo. Altre voci parlano di 40mila profughi in arrivo. Passato il posto di frontiera è tutto un enorme accampamento, tra rifiuti, fagotti e cambiavalute clandestini. Oggi la rabbia dei profughi egiziani è sfociata in un corteo spontaneo: duri gli slogan contro il governo del Cairo (che ha letteralmente abbandonato i suoi cittadini in questa crisi) mentre qualcuno baciava la bandiera della Tunisia.
Un tunisino ci ha fermato quando ha capito che eravamo italiani e ci ha detto di aver ospitato 50 egiziani in casa sua, di aver dato via tutto il cibo che aveva in dispenza. C’è da crederci, lo stanno facendo in tantissimi. Come c’è da ascoltare quello che ci ha detto subito dopo: “Per 5mila tunisini arrivati a Lampedusa, l’Europa ha dato all’Italia milioni di euro. Qui abbiamo 70mila egiziani e nessuno ci aiuta. Perché? Dov’è la comunità internazionale?!”
E’ arrivata sera e abbiamo salutato l’accampamento degli ultimi della Terra. Le nostre orme impresse nella sabbia rossa di questo deserto che si inoltra verso le saline azzurre, fino a confondersi con il mare: il mar Mediterraneo.