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Assalto alla Banca – 1

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Ieri un commando di talebani ha dato l’assalto ad un filiale della Kabul Bank a Jalalabad, città chiave nell’est del Paese, lungo la rotta tra la capitale ed il Pakistan. Il commando di kamikaze ha fatto diciotto vittime e una settantina di feriti. La banca è la tesoreria delle forze di sicurezza ed ieri era giorno di paga per poliziotti e soldati. Ma l’attacco di Jalalabad fa il paio con gli ultimi due avvenuti a Kabul e mette in evidenza come i talebani e le forze anti-governative in genere stiano ormai cambiando tattica nel colpire i centri urbani.

A Kabul pochi giorni fa, un attentatore suicida ha provato a colpire il Kabul City Center, un centro commerciale nel quartiere di Shar-e-Now. Un segno della rinascita della capitale quando aprì alla fine del 2006, con la prima scala mobile e il primo bancomat del Paese. Un posto che conoscono tutti a Kabul, in particolare gli occidentali. L’attentatore suicida è stato fermato dalla guardie del centro, quelle che ogni volta che entravi ti perquisivano e ti facevano lasciare telefonini e chincaglieria varia nella vaschetta prima di passare nel metal detector. Un controllo sommario, che negli aeroporti americani definirebbero “profiling” ovvero guardare in faccia chi entra piuttosto che guardare solo allo scanner. Forse per questo sono riusciti subito a fermare il kamikaze, evitando una strage. Sono morte entrambe le guardie, fa sempre impressione quando muore qualcuno, di più quando muore qualcuno che – anche se non personalmente – hai conosciuto, che ti ha sorriso perchè nelle tasche avevi un chilo di metallo vario. Forse è una consolazione (leggi qui) sapere che sono morti da eroi, hanno salvato vite mentre i poliziotti dell’Anp facevano l’ennesima approssimativa figura.

L’altro attacco recente che a Kabul ha praticamente rotto una tregua che durava da sei mesi e che nemmeno le elezioni parlamentari erano riuscite a scalfire, ha toccato un altro luogo popolare tra gli stanieri e gli afghani più ricchi. Un luogo al quale sono legato perchè la prima volta che sono arrivato in quella palazzina nella piazza di Wazir Akbar Khan, era un mezzo rudere che all’ultimo piano ospitava il satellite di un service turco, dove spesso giornalisti italiani hanno bivaccato per giorni.
Un amico che lavorava in quell’approssimativa struttura, tra generatori che saltavano, freddo e macchine divorate dalla polvere, mi parlava sempre della gente che abitava nel palazzo, per lui ricchi commercianti (vendevano tappeti) e dei bambini che giocavano nel cortile. Quella famiglia era riuscita nell’ultimo anno e mezzo ad aprire un supermercato, con le gigantografie a ricoprire la palazzina in stile “Dubai”, modello estetico di riferimento se a Kabul vuoi costruire qualcosa di “moderno” (proprio come al Kabul City Center e la sua facciata ricoperta di vetri a simulare un grattacielo – vetri sostituiti da lastre di plastica dopo un attacco kamikaze di anno fa, che hanno meglio resistito all’attacco di cui scrivevo sopra).
A fine gennaio, l’attentatore suicida è entrato nel supermarket Finest ed ha fatto otto vittime, sterminando anche la famiglia di un professore dell’università di Kabul che era lì per fare spese.

Questi episodi sono ormai troppo simili per dirci che si tratta solo di episodi, anche se l’attacco contro una banca non è una novità, lo è questo determinazione a colpire “soft target”, luoghi in cui si può esercitare del terrorismo puro, obiettivi che non sono nè militari nè politici, obiettivi dove è più facile arrivare e dove si colpisce gente inerme, spingendo ancora di più tante persone a rintanarsi in case protette da filo spinato e guardie armate, diffondendo la paura con l’impressione che si può essere colpiti in ogni luogo e momento.
Mi chiedo se si tratti solo di un cambio di strategia “pensato” oppure di una necessità perchè gli obiettivi “classici” di attacchi del genere sono sempre più protetti (vedi convogli militari e basi varie).
Questa seconda interpretazione sarebbe però smentita da episodi di questa ondata recente di attacchi a Kabul, come quello contro un pulmino di dipendenti dell’NDS, i servizi segreti afghani, il 12 gennaio scorso, e contro un bus di militari dell’Ana a dicembre. Più probabilmente, se nell’ultimo anno e mezzo le truppe occidentali hanno provato a lavorare “sulla popolazione”, ovvero sulle aree più popolate per garantirne la sicurezza, questa potrebbe essere la chiara risposta dei ribelli proprio per sgretolare ogni sensazione che esistono in Afghanistan luoghi sicuri.

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  1. In realtà, Nico, tra i soft targets rientrano proprio i convogli dell’ANA e dell’Nds che, in quanto a protezioni, sono ben lontani dagli standard delle forze della Coalizione (veicoli non solo protetti ma anche blindati). è però interessante notare come il numero di attentati suicidi si sia stabilizzato su cifre assai elevate nell’ultimo triennio ma con un aumento notevole nel numero di attentatori impiegati in ogni singola azione (nel mio volume Shahid li ho classificati come SC, Suicide commandos); il principio è semplice: all’aumento delle contromisure delle forze di sicurezza straniere vi è un automatico processo di miglioramento delle tecniche offensive. I gruppi di opposizione (e non solo i taliban) hanno acpito che è la tecnica vincente, al di là dell’effettivo numero di vittime provocate.
    cordiali saluti

  2. Caro Claudio,
    Non sono d’accordo sul tema dei soft target, e non solo perchè i militari e gli agenti dei servizi sono armati (certo molto meno blindati degli occidentali…). Un soft target è un obiettivo strettamente civili, colpirli significa diffondere il terrore. Mi riferisco a banche, negozi…uffici pubblici come accaduto oggi a Kunduz. Non vorrei sembrare cinico (una vittima, una sola, è sempre troppo) ma quando colpisci un poliziotto dell’ANP, per esempio, la gente si spaventa ma sa di non essere il bersaglio: “mica colpiscono me che faccio la spesa?”…Ora l’obiettivo è secondo me sempre più diffondere il terrore tra tutti e dappertutto, far capire che non è più solo una guerra tra talebani, poliziotti, militari (stranieri o nazionali che siano).
    Sul punto dei commando sono pienamente d’accordo, ormai la tecnica è sempre più diffusa, inizialmente vista in zone come Khowst poi diventata una notizia mondiale con l’assalto al Serena Hotel…

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Nico Piro

Provo a dare voce a chi non ha voce, non sempre ci riesco ma continuo a provarci. Sono un giornalista, inviato speciale lavoro per... continua a leggere