Ho passato molte ore a leggere una parte, seppur minima, dell’enorme massa di informazioni messe ieri on line da wikileaks.org (qui il data base) con un’inedita collaborazione con tre diverse testate in altrettante giurisdizioni nazionali (per comprenderne il meccanismo si veda questo dettagliato articolo del Guardian) volta ad evitare che le “notizie” si perdessero in questo mare di file che, se stampati, probabilmente occuperebbero decine di scaffali.
La più importante delle rivelazioni contenute in questi documenti mi sembra essere quella sull’imprecisione della TaskForce 373 e sui dubbi di leggitimità sulla suo “scopo sociale” (uccidere capi talebani), per il resto è la conferma (“in the own words” dei militari) di tutta una serie di problemi e di fragilità, tutto sommato noti. Personalmente, tra quello che ho potuto leggere
mi ha molto colpito il diario “minimo” della guerra che emerge da molti di questi rapporti. Si tratta di piccoli episodi, dai commenti sulla distribuzione di aiuti che entusiasma gli americani (convinti di poter ottenere il supporto della popolazione locale) allo stillicido di attacchi quotidiani che siano contro una scuola, una pattuglia di poliziotti afghani, un gruppo di guardaspalle di politici locali; i racconti dei tanti scontri a fuoco “minori” sino agli attacchi con razzi e colpi di mortaio contro le fob (basi operative avanzate) occidentali. E’ il racconto di una guerra la cui quotidianità, tra disattenzione dei media e le politiche propagandistiche degli uffici stampa militari, svanisce dalle cronache accessibili al pubblico. E’ così che alla gente (se volete ai contribuenti occidentali che questa missione pagano) non arriva che un racconto frammentario del conflitto; racconto che tocca i suoi picchi, sostanzialmente, in occasione di grandi massacri di civili, di vittime militari (soprattutto se della nazionalità di riferimento – quella di chi legge), di visite ufficiali di politici. Un problema generale di tutti i Paesi membri di questa missione (imbarazzante per troppi governi), problema che in un paese come l’Italia è particolarmente evidente. Lo è di meno in America – anche per la sua tradizione di cronaca militare. Anche per questo ho particolarmente apprezzato la scelta del New York Times di pubblicare una di queste storie minori, quella dell’outpost Keating (clicca qui per l’articolo) nell’inaccessibile provincia del Nuristan. Chiunque voglia capire che cosa sia la guerra in Afghanistan dovrebbe leggerlo. Personalmente, nei limiti dei mezzi dati, ho sempre provato a raccontare la guerra nella sua quotidianità, la vita ordinaria dei militari occidentali sul campo. Sono sempre stato convinto che siano queste storie “minori” molto più del giornalismo e dell’opinionismo militante (di ogni versante) a far capire alla gente che cosa sia davvero la missione Afghana e se valga la pena o meno di continuarla. Se navigate dentro i “war diaries” – magari alla caccia della grande notizia che per ora non sembra esserci – non trascurate questi brandelli di storie dal campo. Basta leggerne alcune per capire tutto.
Per completare il quadro mi sembra interessante questo commento di Al Jazeera
http://english.aljazeera.net/focus/2010/07/201072762945477489.html
dove sostanzialmente si parla di documenti che rivelano poco (almeno questo il commento di chi ci ha potuto dedicare solo poche ore e non settimane come nel caso delle tre testate coinvolte nella pubblicazione) se non l’incapacità degli Stati Uniti di custodire i propri segreti
ho letto con attenzione il tuo articolo e come al solito mi piace proprio tanto quello che scrivi. purtroppo non parlo bene inglese e quindi alcuni articoli non li comprendo bene. cmq sono sempre dalla parte di persone vere come te.