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Con le cinque vittime di martedì a Kabul, spazzate da un kamikaze in auto-bomba lungo la Dar-ul-aman Road (assieme ad un soldato canadese e a dodici civili, passanti), il numero dei militari americani uccisi in Afghanistan ha superato quota mille, il 50% dei quali è morta negli ultimi due anni, l’altra metà nei primi sette di guerra. Prima dell’alba invece un commando di kamikaze (alcuni con cintura esplosiva, altri semplicemente pronti ad affrontare quella che comunque sarebbe stata una missione suicida) hanno dato l’attacco alla base di Bagram, la più grande del Paese, cuore della missione americana in Afghanistan. Era già successo nel febbraio del 2007, quando il vicepresidente Dick Cheney, era all’interno della base (strabiliante, in quell’occasione, l’intelligence o la fortuna talebana), questa volta però si è trattato di un attacco massiccio, durato a lungo e capace di causare la morte di una guardia privata americana e il ferimento di circa dodici soldati americani. E’ stato un tentativo inutile fermatosi più o meno al primo “gate” dell’enorme base (gli anelli di sicurezza sono tanti e così vasti che richiederebbero un intero battaglione per essere penetrati) quanto fruttuoso dal punto di vista mediatico. In vista della conferenza di pace di fine mese e dell’offensiva su Kandahar che dovrebbe cominciare a giugno, il gioco dei talebani è sempre più quello di colpire in maniera clamorosa, “mediatica”, mostrare a tutti che il governo Karzai è debole e soprattutto puntare alle vittime che “fanno notizia”, ovvero ai militari occidentali (anche se per ucciderne uno devono massacrare una folla di civili, passanti, compatrioti) cioè le cui morti erodono il consenso alla missione tra le fila dell’opinione pubblica occidentale.

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Nico Piro

Provo a dare voce a chi non ha voce, non sempre ci riesco ma continuo a provarci. Sono un giornalista, inviato speciale lavoro per... continua a leggere