Probabilmente erano già in un covo sicuro all’interno di Kabul mentre a Marjha veniva (non per la prima volta in due settimane di operazioni) issata la bandiera afghana a voler sancire la presa della cittadina, dove comunque continuano ad esserci combattimenti sporadici, dove ci saranno da bonificare centinaia e centinaia di ordigni nascosti nella lunga vigilia dell’operazione e dove, soprattutto, ora c’è da combattere la vera battaglia quella cioè per conquistare il supporto ed il consenso della popolazione locale, di etnia pasthù come il grosso della guerriglia che di questa città aveva fatto il suo “santuario”.
Il commando di terroristi e auto-proclamati martiri è entrato in azione di venerdì mattina (la domenica islamica e anche afghana) nel quartiere di Shar-e-Now; il quartiere “nuovo”, l’area più dinamica di Kabul che – tra negozi, uffici e alberghi vari – trova pace dal traffico solo in quel giorno della settimana. All’alba ha colpito il Kabul Shopping Center (un’edificio al cui interno trova posto anche il Safi Hotel, un’albergo di buon livello e che offre un buon rapporto qualità prezzo per gli occidentali) e poi, in una sequenza non chiara (video), due guest house sulla stessa strada. La tecnica seguita, quella ormai consolidata: un’esplosione (almeno una, questa volta di un’auto bomba seguita pare da due esplosioni di portata inferiore) e l’attacco di un commando di uomini armati contro il Safi (in maniera limitata, anche perchè l’edificio è un labirinto) e soprattutto verso l’Hamid Hotel e il Park Residence. Una battaglia urbana andata avanti per qualche ora con un bilancio di 18 vittime, tra cui (ed è un dato alto e senza precedenti) 11 stranieri. Tra loro, l’italiano Piero Colazzo, uomo della nostra intelligence che era al telefono con le autorità locali quando è stato ucciso (il generale Rahman, capo della polizia di Kabul, l’ha definito un uomo coraggioso e ha detto che con il suo aiuto sono stati salvati altri quattro italiani – per la cronaca il generale e il suo vice si sono dimessi oggi per non essere riusciti a prevenire l’ennesimo attacco alla capitale). Tra le vittime, anche un giornalista e documentarista francese Severin Blanchet, da tempo impegnato a Kabul per insegnare agli afghani l’arte del reportage.
Per quanto lo stesso presidente Karzai l’abbia definito un attacco contro gli indiani (a Kabul c’è un ospedale pediatrico gestito da personale indiano, parte del quale fa base in una di quelle guest house) e indiana sia la maggioranza delle vittime, non sono certo che si questa la natura dell’attacco. La guerriglia ha capito e sa bene che attacchi del genere (per quanto richiedano un agguerrito e militarmente ben preparato commando suicida) sono relativamente facili da condurre ed hanno una visibilità mediatica ben maggiore di quanto offra, per esempio, resistere giorni a Marjah. Da novembre è ormai cominciato una sorta di tour dell’orrore nei luoghi frequentati dagli occidentali o comunque contro i segni di modernità “occidentale” dentro la capitale: prima l’attacco alla guest house dell’Onu, poi il 28 gennaio contro lo shopping center vicino al Serena Hotel e verso il palazzo presidenziale, venerdì contro il Kabul City Center e dintorni(unico posto a Kabul dove ci sono scale mobili, per la cronaca).
Adesso se la prossima fermata dell’offensiva nel sud sarà Kandahar, non resta che chiedersi quando ci sarà il prossimo attentato del genere alla capitale. Tra le testimonianze sul dopo esplosione mi ha colpito quella di questo collega della Bbc che si lamentava di come i palazzi del centro di Kabul abbiano tanti vetri. La strada venerdì era coperta dal fango, come accade per buona parte della stagione invernale, ma anche da migliaia e migliaia di schegge di vetro (la “specchiata” facciata del Safi è stata “denudata”). La voglia di modernità a Kabul ha spinto i palazzinari di turno ad inventarsi un sistema per ricoprire con pannelli di vetro palazzi “normali” (magari “palazzoni”) per farli assomigliare a grattacieli “come visti in tv”. Una deriva che mi ha fatto sempre pensare al consumo di energia degli edifici, al necessario di condizionamento, alla negazione di ogni regola costruttiva accumulata in secoli di storia da queste parti. Alla sicurezza non ci avevo mai pensato, quella – tristemente – la davo già per persa.