Non sono tra quelli che ironizzano sull’assegnazione di un premio Nobel per la Pace ad un presidente di guerra qual è ormai a tutti gli effetti Obama, ma sono rimasto molto perplesso dalla scelta del presidente americano di avventurarsi – nel suo discorso alla cerimonia di consegna del premio – nella teorizzazione di una guerra giusta. Perplesso, non solo perchè gli è mancata l’originalità.
Non ho nè lo spazio nè le competenze per affrontare una dissertazione sulla guerra giusta nella storia dell’umanità, per cui mi limito a mettere in evidenza che nei secoli si fatica a trovare una guerra non giusta o definita “ingiusta” da chi l’ha vinta o l’ha iniziata. (per una rapida puntata su questo argomento vedi questo blog del NY Times)
Capisco che stretto tra le contraddizioni del suo mandato, il Presidente non aveva forse alternative per uscire dall’imbarazzo di ritirare il premio con le mani ancora sporche dell’inchiostro servito ad autorizzare pochi giorni prima un nuovo aumento delle truppe in Afghanistan. Nonostante ciò rispolverare il concetto tanto caro al suo predecessore, il presidente Bush, è stato secondo me un errore, soprattutto se si considera ch,e parlandone, Obama si riferiva specificamente alla guerra in Afghanistan. (Qui il testo integrale del discorso).
Obama ha circoscritto il campo della guerra “giusta” al conflitto con questi requisiti: ultima risorsa o conflitto di auto-difesa, uso proporzionale della forza e , quando possibile, conflitto capace di risparmiare i civili. Sono obiettivamente paletti molto stretti ma io personalmente avrei preferito che si partisse dall’ammissione che ogni guerra è strutturalmente ingiusta. Al massimo ci possono essere guerre giustificate o giustificabili; altre invece sono assurde, ovvero giustificabili solo in privato (come quella in Iraq, fatta e/o per il petrolio e per il desiderio di Bush figlio di rivalsa sul padre) mentre in pubblico vengono motivate con precarie bugie (le armi di distruzione di massa, le hanno trovate poi?) o grida che coprono la ragione e le ragioni.
La guerra è strutturalmente ingiusta perchè è inevitabile che anche solo una famiglia venga macellata da un proiettile di mortaio caduto nel posto sbagliato o che un bambino venga uccisa perchè l’auto di suo padre si è avvicinata troppo ad un convoglio militare o che anche un solo soldato vada a morire per pagarsi il mutuo di casa o che un disperato si faccia esplodere per lasciare mille dollari ai parenti. E la guerra in Afghanistan con il suo inaccettabile tributo di civili, con la sua inestricabile spirale violenta da manuale della guerriglia, con la morte che arriva inaspettata in posti che non sono un campo di battaglia…beh, il conflitto in Afghanistan è un monumento alla naturale ingiustizia della guerra che non è mai come ce l’immaginiamo, lo scontro epico tra gruppi di guerrieri, ma è un casino nel quale spesso non si riesce a vedere la porta d’uscita.
Obama ha ammesso l’inevitabilità delle guerre, almeno in attesa della prossima kennedyana evoluzione istituzionale e sociale.
Sarà pure amaro e cinico realismo, ma come dargli torto? Ma se è così – ed è così – questa prova di realismo avrebbe meritato il bis ammettendo che “sì le guerre sono inevitabili”, che “sì cerchiamo di fare solo quelle che proprio non possiamo evitare” ma anche che la guerra è un “organizzazione” profondamente ingiusta.
Solo questa ammissione – a mio avviso – può mettere un politico come Obama che sta gestendo una guerra non avviata da lui e che, probabilmente, non poteva non continuare nei termini appena decisi, in condizione di farla durare il meno possibile. E’ questo l’unico risultato giusto di ogni guerra ingiusta, farla durare il meno possibile.
Per il resto, entrando nel merito del premio, francamente non penso che quella del comitato di Stoccolma sia stata una stravaganza di un gruppo di europei “liberal-progressisti”, per usare una “garbata” sintesi in stile “FoxNews” (dove tutti gli aggettivi sopra usati, sono considerati offese) nè mi iscrivo tra le fila dei progressisti delusi dal presidente americano, che lo sono per lo più perchè non hanno ascoltato o hanno fatto finta di non capire i discorsi elettorali di Obama che della guerra in Afghanistan aveva fatto uno dei punti chiave del suo programma elettorale non meno della riforma sanitaria.
Obama ha vinto sia un premio Nobel sulla fiducia (ovvero rivolta al futuro della sua presidenza) che alla sfiducia, quella generata dall’amministrazione Bush che ha isolato l’America, scatenato l’assurda guerra in Iraq e spaventato talmente il mondo che vedere una persona alla Casa Bianca considerare il dialogo come prima opzione per affrontare una crisi diventa un fatto da record, da premiare appunto. Che poi il premio arrivi pochi giorni dopo l’annuncio del premiato di inviare altre 30mila unità a combattere una guerra che è un gran casino, beh mi sembra faccia parte delle contraddizioni di un mondo dove è sempre più difficile definire con nettezza i valori, i ruoli e gli schieramenti.
Forse (da qualche parte lassù) sarà felice Alfred Nobel, inventore della dinamite, il cui cognome viene quasi sempre citato per questo premio, ovvero per il suo contributo alla pace nel mondo.
In qualche numero fa di “internazionale” vi erano risportati articoli che tracciavano una davvero interessante panoramica sul governo Obama e sulle delusioni (in)aspettate. ciao e buon anno!