Non ha rinunciato alla sua chapan, la stola di Mazar-i-Sharif a righe verdi e blù che lo fece definire l’uomo più elegante del mondo, ma ieri l’atmosfera per il secondo giuramento da presidente di Hamid Karzai era ben diversa rispetto a cinque anni fa quando gli occidentali lo adoravano. Oggi invece sostanzialmente non riescono a liberarsene e (purtroppo per tutti) nemmeno ad ammettere che è l’unico presidente possibile per l’Afghanistan, ovvero quello con il quale dovrebbero lavorare insieme.
Karzai ieri ha giurato, entrando così nel suo secondo quinquennio da presidente. Il suo discorso probabilmente verrà ricordato come quello delle promesse impossibili o almeno di una in particolare, quella di “afghanizzare” il conflitto entro cinque anni ovvero di affidare all’esercito ed alla polizia afghana i compiti di sicurezza e di lotta ai talebani. In pratica il compimento della exit-strategy a cui pensano gli occidentali. Una promessa impossibile da realizzare fosse solo per l’impossibilità in cinque anni di rimettere in piedi l’aviazione afghana che solo ora sta muovendo i primi passi e che è indispensabile per tutte le operazioni militari (oggi, tanto per fare un esempio, il presidente afghano si sposta all’interno del proprio paese a bordo di aerei della guardia nazionale degli Stati Uniti).
La seconda promessa di Karzai è quella di battere la corruzione, tanto che organizzerà – promessa nelle promessa – anche una Loya Girga, una grande riunione tribale per affrontare il problema. Non so se questa è una promessa irrealizzabile al cento per cento nel paese del Bahkshish (il regalino, la mancia, la mazzetta), ma per valutare la serietà delle intenzioni su questo tema come su tutti gli altri impegni assunti da Karzai, non resta che aspettare la lista dei ministri. La composizione della stessa lista probabilmente è il peggior grattacapo che Karzai abbia mai avuto nella sua vita vista la pioggia di compromessi che ha sottoscritto in questi anni di governo e in campagna elettorale.
Al suo fianco, a giurare sul corano, c’era anche Mohammad Qasim Fahim, signore della guerra, sospettato di aver trafficato droga durante un suo viaggio ufficiale in Russia quando era ministro della difesa, e vicepresidente designato durante la campagna elettorale da Karzai. Per la verità si era sperato (mi riferisco agli occidentali) che il diabete di cui Fahim pare soffrire in maniera grave (e che gli avrebbe impedito di partecipare alla campagna elettorale) risolvesse la palese “incompatibilità”, ma la sua presenza alla cerimonia ha smentito i menagrami.
In sala, c’era però anche l’altro peso sullo stomaco della comunità internazionale nonchè macigno sulla strada di un paese senza (o con un po’ meno) corruzione, ovvero Rashid Dostum, uzbeko signore della guerra e massacratore di talebani (e non) che dopo un periglioso percorso dovrebbe tornare nell’esecutivo o comunque aspetta un ricompensa visto che nella sua provincia (Juzjan) Karzai ha conquistato oltre il 65% contro il 25 di Abdullah, risultati ben superiori alla media del nord afghano.
Nell’attesa della lista dei ministri, vista anche la centralità del governo (o meglio di un governo credibile) un’analisi dell’agenzia AP ci fa sapere che l’amministrazione Obama avrebbe già risolto il problema ovvero stabilendo dei canali diretti di aiuto e finanziamento a clan, villaggi, distretti ecc. ecc. scavalcando il governo di Kabul. Una mossa che di sicuro risponde alla logica frammentata della società afghana ma che, se non maneggiata con cura, potrebbe finire con l’indebolire ulteriormente ogni speranza di restituire al paese un governo centrale .
Intanto ricordiamo a tutti (o meglio ai pochi dubbiosi) che l’Afghanistan è il posto peggiore dove poter nascere, lo hanno sancito oggi le Nazioni Uniti con uno di quegli studi della serie “mai più senza…”. Che sia un utile lettura almeno a Washington e nelle principali capitali europee?