Poco distante da Covent Garden a Londra, c’è una strada di librai, una di quelle che un tempo erano moneta corrente nelle città europee e che vanno via via sparendo; in alcuni casi salvate (e in parte snaturate) solo dal turismo. Sabato ci ho fatto un giro alla ricerca di materiali sull’Afghanistan che – per inciso – non ho trovato ma che ho scoperto essere diventato più popolare di qualche anno fa o almeno così mi hanno detto alcuni venditori di stampe e, appunto, di libri antichi.
In una di queste vetrine ho visto una parata di medaglie. C’era di tutto, decorazioni di ogni paese e praticamente per ognuna delle guerre dell’ultimo secolo e mezzo. Prezzi accessibili, a 10 pound (più o meno 11 euro) si può comprare, per esempio, la medaglia italiana per la partecipazione al 15′-18′. Vederle in vetrina mi ha fatto pensare alla retorica che sommerge ogni cerimonia in cui vengono conferite le decorazioni, purtroppo medaglie troppo spesso alla memoria oltre che al valore.
Una retorica che, in quel momento, riempie i cuori e gonfia le bandiere, magari aiuta a risarcire le ferite di chi resta ed a cui mancherà chi se n’è andato. Retorica che il tempo cancella assieme le “buone ragioni” (o quelle vendute come tali all’opinione pubblica) per sostenere ogni conflitto. Col tempo la guerra diventa storia, si relativizza, si placano le passioni di chi la sostiene e così le medaglie finiscono in vetrina e da qui nelle tasche di qualche turista e/o collezionista. Con 10 sterline si può comprare qualcosa che, molto spesso, è costata una vita. Almeno una vita. Ma tutto questo viene dimenticato come il nome di quella vittima (l’eroe) e le vittime il cui nome non conosceremo mai, gli innocenti. Nomi che in quella vetrina nessuno potrà leggere mai.