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Di nuovo polemiche su Sorobi

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Non è una storia nuova, quella delle polemiche sull’imboscata di Sorobi e sull’attività delle truppe italiane nell’area. Nei giorni successivi alla morte dei dieci parà francesi in quell’area, in un’imboscata avvenuta tra il 18 e il 19 agosto del 2008 (la peggior perdita per l’esercito transalpino dai tempi del Libano), i media francesi sollevarono una generica polemica sulle responsabilità degli italiani (che avevano appena lasciato la zona dopo una presenza di circa sei mesi legata all’assunzione del comando della capitale Rc-C all’interno della missione Isaf) e dei loro rapporti con i guerriglieri nella zona. La polemica ora ritorna ma in maniera molto più puntuale sulle colonne del Times di Londra che in un articolo ben dettagliato e apparentemente surrogato da fonti diplomatiche e militari, accusa i servizi italiani di aver pagato la guerriglia, sostanzialmene, per “comprare” un po’ di pace nell’area. Un fatto non comunicato ai “successori” delle nostre truppe, i francesi, indirettamente esponendoli a quella tragica imboscata – questa almeno la ricostruzione del quotidiano britannico. Ecco alcuni estratti dall’articolo del London Times:

The Times has learnt that when French soldiers arrived to assume control of the Sarobi area, east of Kabul, in mid-2008, they were not informed that the departing Italians had kept the region relatively peaceful by paying local Taleban fighters to remain inactive.

Western officials say that because the French knew nothing of the payments they made a catastrophically incorrect threat assessment.

US intelligence officials discovered through intercepted telephone conversations that the Italians had been buying off militants in other areas, notably in Herat province in the far west.

In June 2008, several weeks before the ambush, the US Ambassador in Rome made a démarche, or diplomatic protest, to the Berlusconi Government over allegations concerning the tactic.

A number of high-ranking officers in Nato have now told The Times that payments were subsequently discovered to have been made in the Sarobi area as well.

Quindi, secondo il Times, la scoperta di questi pagamenti nell’area di Sorobi (si pronuncia Surobì) scatenò all’epoca un caso diplomatico e militare pur mai venuto alla luce. Durissima questa mattina la reazione del nostro governo (che – noto a margine – con il Times ha un “conto aperto” viste le recenti polemiche su Berlusconi, escort, ecc. ecc.) e l’annuncio di una querela. Per completezza di cronaca, c’è da notare che il dispiegamento a Sorobi è avvenuto a cavallo tra i due governi, è iniziato durante quello Prodi ed è terminato quando quello Berlusconi si era da poco insediato (un fatto che il titolo del Times on line prova a mettere in evidenza: Italian Prime Minister attempts to blame previous government over Taleban payments that left French troops exposed).

Per una sintesi in italiano della vicenda e per dettagli sulla polemica vedi gli articoli di Repubblica e quelli del Corriere (che tra l’altro ha diffuso in anticipo la notizia dell’articolo in via di pubblicazione). Per un ricostruzione dell’imboscata di Sorobi e soprattutto del dopo, vedi questa voce di wikipedia (in francese) con una lunga lista di fonti.

Anche se il London Times è uno dei quotidiani più prestigiosi del mondo e l’articolo (al contrario delle polemiche francesi dell’anno scorso) pare poggiare su fonti e dettagli specifici, c’è da dire che la vicenda resta ancora poco chiara e tutta da provare, anche perchè si tende a scindere la responsabilità dei militari da quella dei servizi, rendendo il quadro ancora più confuso. Pur essendo stato (e non senza grossi rischi e difficoltà, con il collega Gianfranco Botta del Tg3) a Sorobi, non sono in grado di esprimermi su questa storia. Mi sembra però utile, al fine di meglio inquadrare la vicenda, fornire un po’ di dettagli sullo “scenario”.

La zona di Sorobi è un’area non in mano ai talebani ma agli uomini di Hekmatyar, è un’area ad alto rischio sulla quale – durante il turno di dispiegamento degli italiani – si sono concentrate grandi attenzioni perchè all’epoca si temeva che la capitale Kabul potesse “cadere” in mani talebane (di lì a pochi mesi gli americani avrebbero schierato forze massicce nelle vicine province di Wardak e Logar). Sorobi si trova ad una trentina di chilometri di distanza dalla capitale ma soprattutto lungo la Jalalabad road, la strada lungo la quale arrivano a Kabul la maggior parte delle merci e soprattutto i rifornimenti Nato dal Pakistan.

Una storia di successo. Il caso di Sorobi è stato a lungo considerato presso il quartier generale della Nato, un caso di successo citato persino dal generale McChrystal. Gli italiani riuscirono a tenere sotto controllo la situazione in un’area esplosiva con la tecnica del “bastone e della carota” ovvero con massicci aiuti umanitari e progetti di ricostruzione legati però alla lealtà della popolazione locale, della serie “se mi aiuti, se mi fai scoprire depositi di armi e droga, se mi segnali i movimenti della guerriglia, noi aiuteremo te”. Una strategia non costata poco agli italiani, nel senso che i nostri militari hanno spinto sul pedale della sicurezza per la popolazione civile garantendo una “reperibilità” 24 ore su 24 ai loro contatti sul territorio, in primis agli anziani dei villaggi leali all’Isaf. In pratica sono sempre stati pronti ad intervenire quando squillava il telefonino, persino a notte fonda, per garantire la sicurezza di chi stava con loro, una versione “anticipata” della dottrina McCrhystal.

I combattimenti. Tra l’altro – pur nel silenzio “voluto” dal Ministero alla Difesa alla vigilia delle elezioni e nella lunga preparazione elettorale – gli italiani sono stati spesso impegnati in combattimenti, non semplici e spesso durati ore. Quelle impegnate nella zona non erano, tra l’altro,  truppe qualsiasi; si trattava in buona parte di rangers, i parà degli alpini, e di unità selezionate della Folgore. Per un racconto di quegli scontri, si veda in particolare “Afghanistan, ultima trincea” di Micalessin e Biloslavo.

L’imboscata di Sorobi verrà tra l’altro ricordata per le critiche ricevute all’organizzazione dei militari francesi. Pur nel rispetto della tragedia umana subita dalle forze armate transalpine, bisogna ricordare che diverse fonti concordano che le unità coinvolte nella battaglia vennero colte chiaramente di sorpresa su un terreno orograficamente ostile (tanto ostile che erano dovuti scendere dai mezzi e stavano procedendo a piedi), senza armamento pesante, senza munizioni e radio a sufficienza, senza supporto aereo e per giunta a metà giornata (quindi solo con poche ore di luce davanti a loro, non a caso i combattimenti terminarono a notte fonda). A rendere le dimensioni della tragedia ci pensò una grande e giovane fotogiornalista francese che scatenà una polemica nazionale sull’opportunità di pubblicare le sue immagini, polemica che a tutt’oggi trovo incomprensibile quanto fastidiosa per la libertà di stampa. Veronique de Viguerie fotografò i talebani autori dell’imboscata con indosso l’equipaggiamento tolto ai caduti (del servizio non trovo più traccia nell’archivio di ParisMatch, ma ne ho recuperato l’immagine simbolo qui). Immagini che testimoniarono quanto ravvicinati fossero i combattimenti (fatto raro in Afghanistan) e quindi quanto i militari francesi vennero presi di sopresa, alcuni dei quali pare uccisi e/o mutilati a colpi di pugnale, una volta rimasti senza munizioni. C’è da dire che il Times oltre ad utilizzare per il suo articolo di oggi proprio l’immagine simbolo della disfatta, ricorda chiaramente i limiti delle truppe francesi nell’occasione.

said one senior Nato officer. “They had no heavy weapons, no pre-arranged air support, no artillery support and not enough radios.”

Sono elementi questi innegabili che a seconda del versante della polemica possono essere utilizzati con finalità diverse, per sostenere che i comandi francesi hanno preso quella recon patrol alla leggera e che quindi hanno subito perdite per carenze organizzative e di pianificazione oppure che erano usciti in quel modo perchè gli italiani gli avevano detto che l’area era tranquilla (così sostiene il Times). Quando ho parlato con militari italiani presente all’epoca nell’area (l’ultima volta mi è capitato solo una decina di giorni fa) mi hanno sempre detto tutti la stessa cosa (mi riferisco a colloqui informali, non con fonti ufficiali), ovvero che i francesi si erano avventurari in quel pattugliamento convinti che si potesse fare così perchè “se lo fanno gli italiani, lo possiamo fare anche noi…” ma senza contare sull’organizzazione delle nostre truppe nè su i loro legami con le fonti sul territorio. Del resto i francesi in quell’area erano appena arrivati.

In sintesi, fermo restando il peso specifico dell’articolo del Times e la necessità di fare luce su queste accuse perchè senza chiarezza la credibilità di alleati dei militari italiani verrebbe minata, il racconto dei nostri soldati che hanno tirato a campare a Sorobi e di pagamenti che gli avrebbero spianato la strada, confligge con la storia sul campo fatta di sacrifici, combattimenti, rapporti con la popolazione locale e – non dimentichiamolo – con la perdita del primo Maresciallo Giovanni Pezzulo (vedi qui e qui) ucciso in un’imboscata avvenuta durante una distribuzione di aiuti umanitari.

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Nico Piro

Provo a dare voce a chi non ha voce, non sempre ci riesco ma continuo a provarci. Sono un giornalista, inviato speciale lavoro per... continua a leggere