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I talebani, “parola loro”

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Il conflitto afghano ha un grande buco nero sul piano dell’informazione, è la mancanza di un punto di vista terzo. Molto delle zone di conflitto, anzi la maggior parte, sono inaccessibili ai giornalisti perchè la sicurezza è inesistente. Quasi mai è possibile verificare in via indipendente le note dell’ufficio stampa di Isaf o di Enduring Freedom e la propaganda talebana, quasi sempre si riescono ad ottenere ricostruzioni indirette grazie agli stringer, ai collaboratori locali delle grandi agenzie internazionali. Allo stesso tempo è impossibile ricostruire la “vita” della guerriglia al di là dei proclami di propaganda. Ai tempi dell’invasione sovietica era possibile da Peshawar seguire i mujaheddin, “embed” con loro, ed avere così l’altra versione della storia rispetto a Mosca e soprattutto a Kabul. Purtroppo oggi non è più possibile, per colpa dei diretti interessati, i talebani, che ammazzano e rapiscono giornalisti, un crimine – se possibile – più imperdonabile degli altri perchè è un crimine non solo contro i diretti interessati ma anche contro l’informazione.

Dopo questa lunga premessa, alla quale non sono riuscito a sottrarmi, ecco la segnalazione. Newsweek pubblica una ricostruzione di questi otto anni di guerra per bocca dei principali comandanti talebani (Haqqani jr. incluso), raccolte da uno storico collaboratore del settimanale americano. Per ora ecco il link al testo integrale, nell’attesa di una segnalazione sui passaggi più interessanti (il tempo di leggerlo con calma).

Aggiungo la sintesi e aggiorno l’articolo

I racconti dei talebani, una testimonianza straordinaria, sono interessanti per vari motivi, nel loro complesso descrivono la traiettoria degli studenti coranici, dalla caduta alla loro seconda ascesa (per ora, solo parziale). Di seguito Metto insieme un po’ di estratti (la traduzione non è letterale, omettendo i singoli “autori” (chi vuole può leggersi l’originale) giusto per delineare il loro percorso.
“Vedevo come combattenti talebani feriti, disabili e sconfitti si aggiravano nel villaggio di Wana (Waziristan, Pakistan ndr) e in quelli circostanti, con arabi, ceceni e uzbeki. Ogni mattina andavo a scuola e li vedevo aggirarsi tra le case come mendicati senza tetto”

“Gli arabi avevano perso la battaglia, ma gli afghani erano molto più devastati – avevano perso la loro patria

In fuga dal nord, dopo i bombardamenti americani, camminando a piedi tra le montagne cariche di neve:
“Puntai la mia pistola verso il conducente e gli imposi di fermarmi. Il pulmino era pieno di talebani “sbandati”. Non c’era posto per me, allora li minaccia di sparare alle gomme del veicolo. Salii a bordo, dovetti sdraiarmi sul pavimento, con i piedi degli altri addosso. Era scomodo ma per la prima volta in giorni mi trovavo al caldo”

Insomma una totale disfatta, alla quale però il nocciolo duro dei talebani (come era prevedibile e previsto) prova a reagire sull’onda dell’orgoglio afghano prima che jihadista.
“Il Mullah Obaidullah stava viaggiando in giro per il Pakistan allo scopo di radunare le nostre forze disperse. Metà della dirigenza talebana stava insieme ed era determinata ad avviare un movimento di resistenza per espellere gli americani. Gli ho spiegato che secondo me non era possibile, ma mi ha assicurato che io sarei stato di aiuto”

In tutti i racconti, il Pakistan ed in particolare la regione tribale del Waziristan è centrale per riunire i combattenti sbandati, rifornirli, riorganizzarli. In questo quadro è fondamentale, l’apporto dei combattenti stranieri, veterani di altri conflitti jihadisti.

“Combattenti Arabi e iracheni incominciarono a venirci a trovare, portandoci le ultime tecnologie per le IED e le tattiche per gli attentati esplosivi che aveano imparato dalla resistenza irachene nel conflitto anti-americano. L’invasione americana dell’Iraq era stata una cosa positiva per noi . Aveva distratto gli Stati Uniti dall’Afghanistan. Fino a quel momento avevamo usato armi tradizionali per combatterli come con i sovietici – AK47 ed RPG . Da quel momento in poi la resistenza era diventata più letale, con nuove armi e tecniche: più grandi e migliori IED e attacchi suicidi”.

In generale, i talebani descrivono un clima di ostilità, sfiducia, indifferenza da parte della popolazione nei loro confronti. Nel loro racconto, sono gli errori degli americani e quelli del governo Karzai.
“Le operazioni americani che maltrattavano gli abitanti dei villaggi, bombardamenti che ammazzavano civili e la corruzione dei funzionari del governo Karzai avevano allontano la popolazione di molti villaggi che ora si erano schierati dalla nostra parte.”
“Gli americani ed i loro alleati facevano errori dopo errori, uccidendo ed arrestando innocenti”

In particolare Haqqani (il leader dell’organizzazione anti-governativa più forte di tutto l’Est del paese) racconta di essere tornato nel 2007 per la prima volta in Afghanistan.
“Ho viaggiato in 8 province in 20 giorni. L’impopolarità del regime di Karzai era immensa. Nel 2005 alcuni afghani pensavano che Karzai avrebbe portato cambiamenti positivi. Ma ora la maggior parte ritiene che i talebani siano il futuro.”

Mi sembra di aver sintetizzato i pilastri del racconto, che sono poi i dati raccontati in numerose cronache sul campo come quelli che hanno spinto McChrystal a provare a cambiare registro. Le testimonianze continuano parlando delle difficoltà di combattare gli americani, dei finanziamenti stranieri alla guerriglia e di specifici episodi di combattimento.
Chiuderei con questa testimonianza che confermo anche per esperienza diretta:

“Nel sud i mujaheddin si sono adattati alla nuova crociata di Obama con una ritirata strategica e combattendo prevalentemente con le IED. Ma noi mujaheddin a Kunar e nel Nuristan siamo più fortunati. Queste montagne e foreste sono le nostre protettrici. Alberi e rocce ci offrono riparo dappertutto. Due o tre anni fa i soldati americani nella regione si comportavano come fossero in vacanza. Si facevano foto mentre passeggiavano in montagna per divertimento. Ora li obblighiamo a tenere il dito sul grilletto per 24 ore al giorno”.

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Nico Piro

Provo a dare voce a chi non ha voce, non sempre ci riesco ma continuo a provarci. Sono un giornalista, inviato speciale lavoro per... continua a leggere