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I marines e la nuova strategia afghana

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In viaggio per l’afghanistan, dove molti fronti sono attivi (gli italiani stanno combattendo nella valle di mousai nei pressi di Kabul) scrivo un rapido post sull’operazione in corso da ieri nella provincia di Hellmand, roccaforte ma anche cassaforte talebana (da qui proviene buona parte dell’oppio afghano ovvero del 90% della produzione mondiale).
L’operazione americana presenta alcuni motivi di novità. In primo luogo il numero di militari sul campo, circa 4000 marines, al contrario di quanto accaduto sin’ora: poche truppe e molti bombardamenti ovvero vittime civili. Secondo elemento, altamente enfatizzato nelle dichiarazioni ufficiali (l’operazione è in corso e se ne sa ben poco), non è contro i talebani ma per garantire sicurezza alla popolazione civile. Al di là della retorica dei portavoce, sin’ora come disse il dimissionario capo delle forze speciali britanniche, nella zona, i militari escono dalle basi vanno a scazzottarsi con i talebani e poi ritornano per l’ora del tè (quando i talebani ritornano a controllare i villaggi). Di mezzo la popolazione civile che vede solo la sua sicurezza peggiorare (vedi le testimonianze raccolte da Carlotta gall su ny Times di oggi) proprio in relazione alla presenza occidentale. Questa volta dopo l’operazione dei Marines (che durerà giorni viste anche le condizioni dei banchi del fiume hellmand) le truppe occidentali intendono restare nell’area con una presenza stabile anche per riconquistare la popolazione locale, nell’immediato consentendo lo svolgimento del voto, in prospettiva favorendo la ricostruzione. Ci riusciranno? La svolta è simile a quella irachena e gli errori dei britannici nella vicina musa qala sono un grande monito. Certo, distratti dalla guerra in Iraq, gli americani devono scontare almeno sei anni di ritardo. Forse troppi e segnati da troppe vittime innocenti per conquistare la fiducia delle tribù locali.

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  1. Molto interessante e grazie per la cronoca! In italia l’enfasi è stata posta in questi giorni soprattutto alla produzione di oppio nella regione in questione, suggerendo in sostanza che la bontà dell’operazione va ricercata nel tentativo di fermare 1) un’importante fonte di reddito per le milizie dei taliban 2) limitare la produzione di oppio e quindi dei suoi derivati, con buona pace di tutte le mamme d’occidente.

    Eppure ero rimasto alle informazioni del caro oliver roy secondo cui i taleban avevano bandito per la prima volta in afghanistan la produzione di oppio con fatwa del 27 luglio 2000, limitando la sua coltivazione così proficuamente sviluppata negli anni di jihad anti-sovietico. Tu hai informazioni al riguardo? E’ vero che i taliban hanno riattivato la produzione di oppio? secondo quali modalità? O siamo di fronte all’ennesima bufala da giornalai nostrani?

    E grazie per i tuoi insights sempre molto utili.

    ciao,

    Andrea

    • Che quell’area sia la cassaforte talebana, da cui arrivano i soldi dell’oppio (e la maggioranza della produzione mondiale dello stesso) e’ fuor di dubbio. Ma gli americani stanno avanzando senza toccare l’oppio. Gli Stati Uniti dopo anni di fallimentari programmi di eradication, ovvero campi di oppio rasi al suolo, stanno cambiando strategia. Nei prossimi mesi investiranno soldi per la riconversione delle colture (lo raccontero’ in un prossimo post). In quando allo stop della produzione durante il regime talebano e’ un episodio controverso (vedi la spiegazione che ne da’ Rashid nel suo famosissimo libro sui Talebani) perche’ forse volto a far salire i prezzi sul mercato mondiale. Di certo c’e’ che i talebani (e molti corrotti tra le fila delle istituzioni) stanno usando il papavero per finanziare la loro guerra.

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Nico Piro

Provo a dare voce a chi non ha voce, non sempre ci riesco ma continuo a provarci. Sono un giornalista, inviato speciale lavoro per... continua a leggere