E’ un’esclusiva della tv americana Cbs di qualche giorno fa a mostrarci l’altra faccia della medaglia nella vicenda delle rotte dei rifornimenti in Afghanistan. In un mercato di Peshawar, principale centro pakistano verso la frontiera afghana (tra l’altro sede di un importante interporto), sono stati trovati in vendita, esposti come merci qualsiasi, equipaggiamenti e dotazioni dell’esercito americano, chiaramente merci saccheggiate durante gli assalti degli ultimi mesi ai convogli di camion che dal porto di Karachi attraverso il passo Khyber portano l’80% dei rifornimenti militari in Afghanistan. In vendita nei retrobottega ci sarebbero persino armi, ma basterebbero solo i cannochialii da cecchino e i dispositivi di visione nottura per colmare quel gap tecnologico che in certe situazioni di combattimento è il solo vantaggio delle truppe occidentali (i talebani nelle notti senza luna non combattono proprio perchè la loro è una guerriglia a bassa tecnologia, visori notturni inclusi).
Ma l’impraticabilità ormai sempre più manifesta della rotta logistica “naturale” per l’Afghanistan non pone solo una questione tecnica, ha riaperto invece una partita diplomatica una mossa da riedizione nel terzo millennio del “grande gioco” e che stanno complicando non poco la ridefinizione della strategia afghana della Casa Bianca.
La Russia se da un lato ha aperto il proprio territorio al transito dei rifornimenti americani (“non letali”) per l’Afghanistan ha dato la chiara impressione di aver contribuito alla chiusura della base aerea di Manas in Kirghizistan, concendendo al governo dell’ex-repubblica sovietica aiuti finanziari. Base chiave per il supporto delle operazioni in Afghanistan, da dove partono anche gli aerei cisterna per i rifornimenti in volo.
E’ l’evidente tentativo della Russia di ritornare in gioco in quella che un tempo era la sua area d’influenza, da un lato limitando la presenza “fissa” degli americani dall’altra rendendosi “partner” indispensabile (sull’intera questione dei rapporti russo-americani vedi questo editoriale del NY Times). Sul “corridoio” russo (già aperto da mesi per i rifornimenti alle truppe tedesche, francesi e spagnole) da ieri la diplomazia americana è al lavoro, con l’obiettivo di precisare – come richiesto dai russi – i dettagli dei transiti.
Ma gli Stati Uniti (impossibilitati ad aprire l’indispensabile rotta iraniana) stanno lavorando praticamente con tutte le “-stans”, le repubbliche ex-sovietiche dell’area. Il Tagikistan ha annunciato l’apertura del suo spazio aereo a tutti i carichi americani “non bellici” e un accordo preliminare è stato raggiunto con il Kazakhstan. Resto il grosso problema dell’Uzberkistan che offre uno dei migliori accessi al confinante “teatro” afghano, ma i rapporti tra i due paesi sono tesi da quando, nel 2005, gli Stati Uniti criticarono la repressione delle proteste interne da parte brutale governo uzbeko con il risultato di veder chiusa la loro base in quel paese. Un precedente che renderebbe molto complicata (ma non impossibile, visto che secondo indiscrezioni ci sarebbero già specifici contatti) l’opzione di una ripresa dei rapporti di collaborazione tra i due Paesi per l’Amministrazione Obama, tanto attenta a questi aspetti politico-umanitaria.