In Afghanistan si continua a morire e l’impressione è sempre la stessa ovvero che le cose si raccontino in maniera quantomeno approssimativa, ma all’Italia (e ad una buona parte dei suoi media) sembra che la cosa interessi poco, c’è il bunga-bunga di cui parlare…roba seria, alto che un conflitto più lungo della seconda guerra mondiale.
La morte dell’alpino Luca Sanna 32 anni e il ferimento del suo commilitone Luca Barisonzi, che rischia di portare per tutta la vita i segni dell’attacco, è avvenuta in una circostanza sin’ora mai toccata al contingente italiano, ovvero quello di un infiltrato tra le fila dell’esercito afghano che ha sparato ed è fuggito via, in uno dei “caposaldi” intorno alla base di Bala Morghab, florida terra di nessuno al confine con il Turkmenistan. Ormai è una piaga diffusa quella degli infiltrati all’interno di un esercito che sembra stare in piedi per fare “numeri” (di ieri la notizia di un piano per portare quasi a 400mila unità le forze di sicurezza – vedi qui ) ovvero consentire agli occidentali di ritirare il grosso delle truppe.
Poco distante da Bala Morghab, a Qal-e-Now, capitale provinciale, pochi mesi fa, proprio un infiltrato del genere aveva ucciso due istruttori spagnoli. Solo una manciata di giorni addietro, più a sud, a Sangin, l’inferno in terra per gli inglesi prima e i Marines ora, un militare americano aveva ammazzato un soldato afghano prima di essere ucciso dal commilitone.
Dei 36 militari italiani uccisi in Afghanistan, pochissimi sono morti per colpi di arma da fuoco (se non ricordo male, il primo è stato il maresciallo Pezzulo, nel 2008 a Sorobi) quasi tutti invece per colpa di ordigni Ied, ma il loro numero negli ultimi mesi è drammaticamente aumentato (Romani, Miotto, ieri Sanna). Oggi possiamo contare la prima vittima della collaborazione con un esercito afghano non sempre affidabile, dove i confini tra indisciplina, stress da shock traumatico e infiltrazione vera e propria sono labili. Questa, purtroppo, ci mancava; ce la saremmo risparmiata molto volentieri: è la misura di una missione sempre più impegnativa e quindi più rischiosa; rischio (nonostante le affermazioni di La Russa che intende coinvolgere sul punto anche il generale Petraeus) sostanzialmente “incomprimibile” perchè più ti avvicini alla sponda del fiume, più ti bagni.
Anche questa volta, il racconto all’opinione pubblica è stato quantomeno approssimativo. Quando ieri ho letto il lancio d’agenzia, poche righe, sulla sparatoria nella base…beh gli scenari che mi sono venuti in mente sono stati appunto due, il primo quello di un attacco “complesso” alla fortificazione (ma si sarebbe dovuto trattare di un attacco su vasta scala, difficilmente condotto con armi leggere), il secondo – appunto – quello di un infiltrato. Del resto Bala Morghab è un’area da manuale per la collaborazione tra truppe di nazionalità diversa (americane, italiane, spagnole e appunto afghane). L’ho detto subito ad un collega con il quale stavo parlando al telefono e che mi ha riferito la notizia in tempo reale.
Il ministro alla Difesa (vedi qui) con la sua stoffa da comunicatore ha subito lanciato lo slogan-notizia del terrorista con la divisa dell’esercito afghano, insomma un attacco di qualcuno travisato da militare non di un militare vero e proprio (eventualità che però in Afghanistan è riferita soprattutto alle forze di polizia). Il ministro definiva “meno probabile” che fosse un infiltrato nell’esercito afgano, arruolatosi proprio per compiere azioni di questo tipo. Oggi ovviamente alla Camera è stata raccontata un’altra storia: “era un infiltrato nell’esercito afgano, cioè uno dei militari” che prestavano servizio insieme ai soldati italiani nell’avamposto di Bala Murghab. L’uomo era nell’esercito afgano “da tre mesi”. Non mi riesco a spiegare questi “errori” di comunicazione se non come la fretta di dare le notizie o con la voglia di lanciare messaggi rassicuranti agli italiani, perchè è sempre meglio parlare di un terrorista in divisa piutosto che raccontare che combattiamo fianco a fianco con qualcuno, in certi casi, pronto ad ammazzarci da un momento all’altro.
Non mi sembra ci abbia fatto caso nessuno, del resto sono i giorni del bunga-bunga che vuoi che ce ne freghi di quello che fanno 4000 italiani nel Paese soprannominato la tomba degli imperi per quanti Paesi stranieri ha messo in ginocchio?
beh, forse sarà una logica spericolata, ma trovo che il bunga bunga spieghi perfettamente la situazione italiana in Afghanistan, per il semplice fatto che il premier è sicuramente molto più preso dal primo che alle conseguenze della seconda.
Forse, se anziché avere un ebete dedito ai festini, avessimo una persona responsabile e in grando di intendere, ci saremmo già ritirati da quel verminaio oppure ci staremmo con un compito più definito perché, a tutt’oggi, vaniloqui di La Fuffa a parte, non si sa cosa ci stiamo a fare DI PRECISO.
L’impressione è che noi stiamo là solo per continuare una missione che fu fatta per compiacere Bush e l’unico motivo per cui non si viene via è solo per evitare una figura di merda su scala planetaria, a qualsiasi costo, tanto poi, bunga bunga o afghanistan, il culo è SEMPRE QUELLO DEGLI ALTRI.