
“Chi salva una vita salva il mondo intero” una frase che ricorre nelle scritture sacre delle tre principali religioni monoteiste; scelta – tra l’altro – per ricordare chi ha salvato le vite degli ebrei durante la Shoah. Una frase che oggi, di fronte allo sterminio di Gaza, suona come un monito per tutti gli esseri umani a fare il possibile per salvare gli abitanti della Striscia e quelli, ugualmente violentati ma meno ricordati, della Cisgiordania. “Evita se puoi di gettare un cuore nello sconforto, perché basta un sospiro per affliggere il mondo”. Anche per via di queste parole di Babur, che da Herat unificò una grande area d’Asia, non riesco a condividere la diffusa irritazione tra chi denuncia i crimini di Israele sin da subito dopo il crimine del 7 ottobre; irritazione verso quelli che per un anno e mezzo si sono girati dall’altra parte, ignorando la strage di Gaza, e oggi sono pronti a scendere in piazza.
“Dove siete stati sinora?” domanda da accantonare perché, adesso, la priorità è salvare vite. Questo improvviso risveglio, per molti versi inspiegabile nella sua genesi (cosa è cambiato rispetto a due, sei o diciassette mesi fa?), può però anche essere un’occasione per far progredire il dibattito sulla guerra e la pace.
I sondaggi sono chiari, la società italiana è molti passi in avanti rispetto alla politica, tanto ai bellicisti dell’opposizione “nominale” e neoliberista quanto al governo delle destre che anche in Italia incarna il paradosso visto in altri Paesi, in primis la Francia, dove i nipoti politici di quelli che gli ebrei li facevano salire sui vagoni piombati oggi difendono Israele, in nome – si intende – dell’islamofobia e di un certo “suprematismo” occidentale.
Sin dal 24 febbraio 2022, gli italiani sono saldamente schierati con la pace, che si tratti – le ricerche demoscopiche sono varie – di armi all’Ucraina oppure di spese scellerate per distruggere lo stato sociale, comprando carri e missili che non sappiamo contro chi dovremmo mai usare.
Un orientamento, questo degli italiani, che pur essendo maggioritario non ha trovato rappresentanza né nel grosso del panorama politico né sui media. Su questo ha pesato la demolizione del pluralismo e lo stigma creato dal PUB, il Pensiero Unico Bellicista, promosso dall’omonimo partito trasversale che ha creato un clima di censura brandendo prima l’accusa di putinismo poi quella di antisemitismo. A rompere questa cappa e a ridare voce agli italiani, la manifestazione promossa dai 5stelle il 5 aprile scorso e quella unitaria del prossimo 7 giugno con M5S, AVS e il PD (la cui minoranza atlantista-bellicista-liberista non ha perso occasione di fare distinguo pure di fronte ad un massacro). La mobilitazione è un passo in avanti ma varrebbe la pena non limitarsi ad un semplice atto d’umanità, provando invece a far avanzare la riflessione sul ruolo della pace.
In Italia c’è chi ha attivamente giustificato e coperto il massacro a Gaza mentre era schierato con l’Ucraina contro la Russia, accusandola di crimini non diversi (se non per motivi di scala, minore) da quelli commessi da Israele. Opinionisti con l’elmetto e politici che condannano Mosca ma, a parità di azioni, giustificano Tel Aviv, non volendo vedere le contraddizioni dell’Occidente
Nel nostro Paese, c’è però anche un’altra quota del ceto politico-mediatico che sostiene l’invio di armi all’Ucraina (quindi la prosecuzione di una guerra a tempo indeterminato senza prospettive di vittoria per Kiev) ma chiede il cessate il fuoco a Gaza. E’ una posizione carica di contraddizioni spiegabile solo con l’idea che la guerra sia uno strumento legittimo, ad essere sbagliato sia invece l’uomo che quello strumento usa: una volta Putin, l’altra Netanyahu.
La guerra è una pazzia diceva Papa Francesco. Edgar Morin ci ricorda come nella guerra per il Bene c’è sempre una quota di Male (si riferiva alla Seconda guerra mondiale contro Hitler). I partigiani che furono costretti a prendere le armi per liberare l’Italia, combatterono affinché quella fosse l’ultima guerra: così nell’assemblea costituente vollero che il ripudio del bellicismo venisse scolpito nella carta fondante del nostro Paese. La scelta del PKK, il partito dell’indipendentismo curdo, di deporre le armi dopo quarant’anni di guerriglia prova come il dialogo anche con il peggior nemico sia l’unica scelta possibile. Il documentario “No Other Land” ci ricorda bene come la resistenza palestinese contro la pulizia etnica sia in stragrande maggioranza pacifica.
E allora perché piuttosto che rifugiarci nell’ “umanitarismo” per i morti di Gaza, non prendiamo atto che non esistono guerre giuste? Che la guerra non crea sicurezza ma genera solo condizioni per altre guerre? Come ci insegna la stessa storia di Israele nella lettura di Gideon Levy? Come testimoniano i quasi cinque milioni di morti delle guerre al terrore americane in risposta ai tremila morti dell’11 settembre? Rattristarsi per le vittime non basta se a questo nobile sentimento non associamo una critica radicale e politica alla guerra, che non è mai la soluzione ma soprattutto è un crimine. Sostenere quella in Ucraina contestando quella a Gaza genera delle pericolose contraddizioni. Eccone alcune: Perché non armiamo i palestinesi contro l’invasore israeliano? Non diamo missili e bombe ai riabilitati jihadisti siriani per liberarsi dell’invasore turco e di quello israeliano? Perché non facciamo lo stesso con gli houthi che subiscono l’invasione saudita ed emiratina dello Yemen? Ma soprattutto se si sostiene la guerra in Ucraina ma non quella a Gaza stiamo dicendo che il problema non è l’uso della forza in sé ma solo gli eccessi israeliani? Sottintendiamo che esistono guerre con soglie accettabili di civili uccisi? Che il problema è solo quello dei troppi “danni collaterali”?
A questo punto qualcuno dirà: si ma senza armi come si fermano i “cattivi”? Per questo la manifestazione del 7 giugno non deve essere solo un bel momento di mobilitazione per chi cerca una risposta da dare a figli e nipoti quando gli chiederanno dove fossero stati, mentre si sterminava un popolo. E’ necessario che la mobilitazione produca effetti diretti sulla fine della guerra e sul raggiungimento della soluzione due popoli due stati (oggi un mero esercizio retorico vista l’occupazione della terra palestinese).
Per farlo è necessario chiedere al nostro governo, all’Unione Europea, il riconoscimento dello stato di Palestina e scelte chiare come quelle fatte contro la Russia: l’embargo della vendita di armi ad Israele, sanzioni alla sua economia, l’esclusione dalle competizioni sportive, la fine degli accordi di cooperazione (militare come accademica).
Mobilitiamoci per creare le condizioni per pacificare il Medio Oriente, per liberare l’Italia dalla mefitica cappa del PUB, per fermare la spirale neoliberista del ricatto dignità-lavoro che vorrebbe rendere dipendente dalla produzione di armi la tenuta della nostra malandata economia.
Finalmente una descrizione chiara e lucida di eventi che facilmente vengono alterati dalle emozioni. E suggerirei di rendere più diffusa la sigla PUB , visto il timore
di essere espliciti quando si parla di guerra e di violenza! Grazie Nico per questa conoscenza spesso negata!’
Caro Nico, si può essere d’accordo con te al 100% o con percentuali diverse ma leggere quanto scrivi (a me) serve per riflettere e a vedere questioni così complesse (e dolorose) anche da punti di osservazione diversi da quelli che avevo finora preso in considerazione.
Grazie! Walter Vergnano