Negli ultimi giorni sono morti di freddo nelle tende di Gaza sei bambini, l’ultimo dei quali era nato da solo un mese. La strage che Israele sta commettendo in quel lembo di Palestina (Amnesty e HRW parlano di genocidio e pulizia etnica) non si ferma, siamo oltre quota 46mila morti mentre il sistema sanitario è al collasso con l’ultimo ospedale ancora in attività ridotto ormai ad un rudere.
L’Ucraina continua a perdere territorio in Donbass, nè la mossa disperata dell’estate scorsa con l’invasione della regione di Kursk nè la possibilità di colpire il territorio russo in profondità con i missili occidentali, nè i tanto invocati jet F-16 hanno cambiato i rapporti di forza sul campo. Lo stesso Zelensky ammette che la vittoria al momento non è possibile (quella di cui invece continuano a parlare politici e opinionisti nostrani). Non è chiaro se perchè voglia aprire trattative o per ottenere non più solo armi ma l’intervento diretto di truppe dei Paesi alleati.
Intanto in Siria (di cui Israele e Turchia si sono presi un pezzo) al potere non c’è più Bashar Al Assad, massacratore del suo popolo, ma un gruppo di jihadisti. Non hanno nulla di diverso da quelli per combattere i quali, dopo l’11 settembre, abbiamo condotto guerre in mezzo mondo; guerre che da Al Qaeda hanno portato all’Isis, uccidendo – tra vittime dirette e indirette – circa 3,8 milioni di persone. Eppure in Siria non li chiamiamo più terroristi, li definiamo pragmatici e pronti al dialogo. Prima la convenienza poi la coerenza, al solito.
Le missioni navali e i bombardamenti sullo Yemen non stanno producendo frutti, gli huthi continuano a mettere a rischio la navigazione attraverso lo stretto di Suez e a lanciare missili su Israele come rappresaglia per la distruzione di Gaza. Il Libano meridionale è in macerie, dopo l’invasione israeliana. In Sudan, intanto, si continua a morire ma, al contrario dell’Ucraina e del Medio Oriente, tutto scorre nell’indifferenza generale.
L’allarme che lanciavo nel 2022 nel mio libro Maledetti Pacifisti quando ho coniato il termine PUB – Pensiero Unico Bellicista – si conferma, purtroppo fondato. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina il sistema politico-mediatico ha trasformato la guerra in una sorta di culto da abbracciare, qualcosa di inevitabile, l’unica scelta moralmente ammissibile, l’unica soluzione possibile. Così chi parla di pace è stato demonizzato (da filo putiniano ad anti-semita è stato un attimo) quindi neutralizzato mentre le opinioni delle persone – chiaramente a favore della pace, scolpite sempre più chiaramente nei sondaggi che si ripetono sin dal febbraio di due anni e mezzo fa – non vengono prese in considerazione e non sono più nemmeno oggetto di discussione da parte delle élite alla guida del sistema politico-mediatico.
Abbiamo abbracciato la guerra come strumento di difesa della democrazia ma nel farlo abbiamo demolito il pluralismo e l’idea che la politica serva a rappresentare/concretizzare le scelte delle persone.
Abbiamo abbracciato la guerra come mezzo per difendere il nostro stile di vita ma i prezzi sono arrivati alle stelle, l’economia arranca e continuiamo a spostare fondi pubblici dal civile (sanità, scuola, servizi sociali) all’acquisto di armi.
Abbiamo abbracciato la guerra in nome della difesa dell’integrità territoriale dell’Ucraina e della difesa dei suoi civili per poi negare gli stessi principi quando si tratta dei palestinesi (o dell’integrità territoriale siriana) perchè a farlo non è un “nostro” nemico ma un “nostro” alleato.
Quasi tre anni dopo possiamo dire che con la scelta della guerra e non della pace stiamo minando la nostra sicurezza, limitando la nostra libertà di pensiero e impoverendoci ma stiamo anche perdendo la nostra credibilità (quella del cosiddetto Occidente) verso il resto del mondo. Tutto ciò accade con l’attiva collaborazione e/o il silenzio complice di informazione e politica, con poche e limitate eccezioni. Le stesse “firme” che per anni hanno giustificato l’austerità, i tagli alla spesa pubblica, ma che oggi chiedono di allargare i cordoni della borsa per comprare nuove armi a discapito delle liste d’attesa negli ospedali o dei posti negli asili nido.
Purtroppo più passa il tempo più è evidente che chi si è schierato contro la guerra e a favore della pace aveva ragione. E’ brutto dirlo, lo faccio solo per tentare di risvegliare le coscienze, siamo ancora in tempo per fermarci prima del baratro che non è solo quello della guerra totale ma anche dell’intruppamento finale del pensiero.
In queste ore una giovane cronista, Cecilia Sala, è detenuta in Iran. Un pensiero non può che andare a lei con la speranza di vederla presto libera. Il giornale con cui collabora ha scritto che “il giornalismo non è mai un crimine”, principio dimenticato quando si trattava di difendere Assange finito in carcere per aver denunciato crimini di guerra mentre chi li aveva ordinati e decisi si godeva la vita.
Un sacrosanto principio, lo si applichi anche ai giornalisti palestinesi che Israele non ha ancora ammazzato a Gaza dove ne ha massacrato 150 (secondo altre fonti 201). Perchè i principi devono valere sempre e per tutti, non solo a secondo degli schieramenti o delle nostre convenienze. Nostre di chi? Di quella cosa che chiamiamo Occidente e non sempre si capisce bene cosa sia se non appunto un grumo di interessi che chiamano “nostri” cioè di tutti noi ma che poi finiscono con l’essere solo di pochi, quelli che le guerre non le vanno a combattere e che continuano ad arricchirsi.
Se siete arrivati sin qui avete capito che i miei auguri non sono carichi di ottimismo. In una fase di crisi totale del giornalismo, abbiamo però il dovere di evitare interpretazioni consolatorie. La speranza di cambiare le cose c’è ancora ed è forte. L’importante è rendersi conto di quanto grave e seria sia la situazione. Insomma prima di tutto non raccontiamocela, poi cerchiamo di uscire dalla frammentazione, rimetterci insieme, collegarci, dialogare, parlarci per dire no alla guerra. E dell’ottimismo, infine, c’è: è quello delle migliaia di persone che ho incontrato in giro per l’Italia nel 2024 per parlare di pace e dire no alla guerra. Siete voi la speranza, almeno la mia (e la mia forza).
A proposito, buon 2025
Caro Nico, lo scenario che disegni non è solo realistico ma reale. Le parole sono specchio delle cose. Parole diverse sarebbero mistificazione e propaganda. Lo scrivi con lucida chiarezza. Ed e’ quello che accade da troppo tempo nel discorso pubblico. Eppure qualcosa si muove. Gli “oplnoonisti con l’elmetto” (tua efficace definizione) sembrano presi dal silenzio. I talk meno deliranti tranne qualche pazzo itinerante da rete a rete. La falange del PUB sembra in stallo temporaneo. Buon segno? Chissà… Il punto è che purtroppo alle grida si sostituisce l’indifferenza e persino l’accettazione della guerra che continua (altrove) perché siamo esclusi dalla contabilità della morte e dei danni. Il convitato di pietra, la Politica resta tale. Si può rovesciare la prospettiva? Si può. Se, come dici, sperare e’ agire.