Nei giorni scorsi sono tornate ad emergere, fetide, le minacce che Carlo Verdelli e la sua famiglia stanno ricevendo da mesi. In comune, i messaggi, avevano il 23 aprile, giorno indicato come data della morte. Conosco Carlo Verdelli dalla sua stagione in Rai come direttore editoriale, è stato per me naturale preoccuparmi per la sua condizione di minacciato e persona costretta a “subire” una scorta (la protezione armata complica di tanto la vita di una persona). Ma la vicenda di Carlo Verdelli, per me, non era sono una questione “personale”, di amicizia, le minacce al direttore di Repubblica riguardano tutti noi, riguardano un Paese spinto indietro nella classifica sulla libertà di stampa proprio dall’alto numero di cronisti sottoposti a misure di protezione. In questi tempi di “confinamento” domestico – mi sono chiesto – cosa fare? Manifestare, vedersi in una sala, lanciare una catena di incontri in Italia sarebbe stato impossibile. Per questo dalle colonne di Articolo 21 ho lanciato l’idea di un tweetstorm (insomma, facciamoci sentire) proprio per il 23 aprile, così per sottrarre quella data alla macabra cabala di chi minaccia e darle un valore diverso. Questo l’articolo con cui ho lanciato la proposta che è stata accolta dal presidente della FNSI, Beppe Giulietti, ed è così potuta diventare un’azione concreta. Il tweetstorm è stato un successo e #iostoconverdelli è salito nella classifica dei twitter trend italiani. A partecipare sono stati migliaia di cittadini, non solo persone impegnate nel giornalismo (dalle associazioni di stampa regionali al segretario dell’Usigrai, Vittorio di Trapani) o appartenenti ad organizzazioni che a vario titolo si occupano della libertà di stampa.
In questo articolo La Repubblica ben ricostruisce la giornata. Si veda anche Prima Comunicazione e la sintesi di Articolo 21 senza la cui presenza l’iniziativa non sarebbe stata possibile.
Quando ormai la Rete era inglofata di #iostoconverdelli, a sancire che la vicenda Verdelli non riguarda solo Carlo ma tutti noi – era ormai il tardo pomeriggio – la nuova proprietà de la Repubblica comunica l’avvicendamento ai vertici della testata.
La reazione del Cdr è la proclamazione, immediata, di una giornata di sciopero. Il Cdr scrive parole condivisibili: “L’iniziativa dei giornalisti di Repubblica non vuol essere un atto ostile nei confronti del nuovo direttore Maurizio Molinari, al quale sin da ora la redazione offre la propria collaborazione con lo stesso impegno, la dedizione e lo spirito di sacrificio che hanno accompagnato tutte le precedenti direzioni di questo giornale”.
“la Redazione non può non rilevare come la scelta dell’editore cada in un momento mai visto prima per il Paese e per tutto il pianeta, aggrediti da una pandemia che sta seminando dolore e morte e sta chiamando tutti noi a uno sforzo straordinario. E proprio nel giorno indicato come data della morte del direttore Verdelli dagli anonimi che ormai da mesi lo minacciano, tanto da spingere il Viminale ad assegnargli una scorta. Una tempistica quanto meno imbarazzante”.
Personalmente, sull’avvicendamento alla direzione del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, non posso che rivedermi nella parole dei colleghi de La Repubblica e in quelle del presidente della FNSI (che parla di coincidenza temporale infelice), ma dal mio personale punto di vista voglio guardare alle cose belle del 23 aprile: tutti insieme siamo riusciti a dimostrare che ci possono essere strumenti nuovi anche per affrontare temi (purtroppo in Italia) antichi, che è possibile avvicinare le persone anche quando sono costrette a stare lontane, che è anche possibile sovrastare le incursioni dei vari provocatori (esseri umani? bot? account orchestrati?) che usano i social per diffondere odio e alimentare divisioni anche nel giorno in cui non ci sarebbe nulla da dividersi perchè si sta dicendo che – comunque la pensiate – la libertà non può ammettere minacce né insulti, strumenti tipici non di chi non la pensa come te ma di soggetti pericolosi e le cui trame (organizzazioni? bot-farm? finanziamenti?) vanno, una volta e per tutte, indagate.
Chiudo con una riflessione che meritava l’attacco di questo pezzo ma, dopo aver ricostruito tutto, assume il suo pieno valore: Carlo Verdelli nel lasciare Repubblica si conferma uomo di stile (socchiude la porta, senza vittimismi né strepiti) e maestro di giornalismo.
Nel suo editoriale di saluto ai lettori scrive una frase che andrebbe ricordata in ogni redazione: “Raccontare, cercare di capire, provare a spiegare in modo trasparente: il giornalismo non è un affare complicato. E’ un mestiere civile, che richiede devozione e passione”.