Con un pugno di missili contro le odiose – in questo caso ancora presunte – armi chimiche, l’Occidente prova a riguadagnare quello spessore morale perso in anni di “attiva indifferenza” verso il conflitto siriano. Lo fa, tutto sommato, senza rischiare troppo e con un ottimo rapporto tra investimento e ricaduta mediatica. I tre capi di governo coinvolti, gonfiando i muscoli dei propri militari, appaiono (temporaneamente) più forti di quello che sono a casa loro.
Hanno messo un cerotto sui tanti problemi che li assediano nel rapporto con i rispettivi elettorati.
A parte i sondaggi d’opinione su May, Macron e Trump cos’è cambiato dopo le ultime bombe?
I russi e gli iraniani non si sono allontanati nemmeno di un centimetro dal tavolo dove si spartiranno i frutti di anni di campagna siriana. Assad resta saldamente avviato a vincere la guerra e i missili dell’altra notte non lo indeboliscono di certo, gli ricordano solo che, insomma, non può continuare a ignorare l’Occidente: qualcosa dovrà pur cedere (anche se non si capisce bene cosa e a chi, dopo il trattamento riservato agli unici alleati occidentali, i curdi).
Incurante del venerdì 13 (negli Usa porta male) Trump scivola sulla tastiera di twitter e scrive “missione compiuta”, stesso slogan scelto da George W. Bush momenti prima che l’invasione dell’Iraq – giustificata anche quella dalle armi chimiche – si trasformasse in un incubo mai finito.
E se davvero fossero stati distrutti i nuovi centri di produzione di armi chimiche di Assad (se esistenti)? Sarebbe sicuramente una buona notizia ma nell’algebra della morte cambierebbe ben poco, su circa mezzo milione di morti del conflitto siriano solo una percentuale piccolissima è attribuibile a quelle orribili armi. Per carità, un morto è sempre uno di troppo ma quello che sto provando a dire è che nella tragedia infinita e sanguinante nella quale affogano i civili siriani da un tempo eterno, la distruzione di una fabbrica di barili di cloro (o forse di Sarin) non allevia le sofferenze di tante vittime – bersagli – innocenti.
Insomma quelle strisce di luce che hanno illuminato la notte di Damasco (e gli schermi dei media occidentali) a cosa sono servite?
Per cercare di rispondere, mi viene da pensare alla rissa in un bar dove volano pugni e sediate tra due bande ma ad un certo punto arriva un terzo gruppo che non disdegna di far capire quant’è forte, piazzando qualche testata qui e lì. Tutt’intorno,comunque, non cambia nulla, il bar resta in pezzi, un posto da cui scappare.
E l’Italia? La portaerei a forma di stivale negli ultimi giorni si è ricordata dell’importanza della politica estera. L’imminenza dell’escalation siriana è stata usata per cercare di sbloccare lo stallo tra i partiti come se l’assenza di una politica estera “made in Italy” fosse una questione degli ultimi due mesi e non una rinuncia vecchia di tre decenni, nonostante il ruolo che avremmo potuto giocare in un’area chiave come il Mediterraneo.