“LE GIORNALISTE ED I GIORNALISTI DEL TG3 RIFIUTANO OGNI ETICHETTA. DIREZIONE DOPO DIREZIONE ABBIAMO GARANTITO UN’INFORMAZIONE IMPARZIALE ED EQUIDISTANTE. QUESTO VUOLE LA NOSTRA PROFESSIONE E QUESTO VOGLIONO I CITTADINI CHE PAGANO IL CANONE PER AVERE UN SERVIZIO PUBBLICO LIBERO. RESPINGEREMO OGNI STRUMENTALIZZAZIONE A SALVAGUARDIA DEL NOSTRO LAVORO E DELLA TRADIZIONE DEL NOSTRO GIORNALE”.
Quello che avete appena letto sono tratte da un comunicato del Comitato di Redazione del Tg3 diffuso ieri alle agenzie (per la cronaca, sono tra quanti in testata l’hanno sollecitato). Un comunicato che pur tardivamente tenta di rispondere all’ondata di dichiarazioni strumentali che hanno fatto non poco male alla mia testata e ai suoi lavoratori, in reazione alla presunta epurazione del direttore Berlinguer.
Trattandosi di un fatto che ha assunto un rilievo assoluto nella comunicazione italiana (prime pagine su prime pagine), un fatto quindi ormai di pubblico dominio, da sindacalista (faccio parte del coordinamento inviati Rai), da lavoratore ferito nella sua dignità e da cittadino che paga il canone, con questo post faccio un’eccezione ad una mia regola personale: non parlare di quanto accade nella mia testata e nella mia azienda; questioni rispetto alle quali esercito il senso critico – quello che ogni giornalista dovrebbe avere – nelle assemblee sindacali e nelle sedi deputate a farlo.
L’eccezione è motivata da una ragione molto seria: la legittima difesa, visto che questa campagna colpisce anche la mia dignità personale e professionale, in quanto giornalista di quel Tg3 che ormai passa come “Tg renzizzato”, e visto che l’intervento del CDR non ha avuto la risonanza necessaria.
Se si dice che con la Berlinguer va via l’ultima voce libera in Rai (e lo si è detto), questo vuol dire che il sottoscritto e tanti suoi colleghi che restano qui non sono voci libere? Sono schiavi del padrone di turno? Ma come vi permettete?
Certe campagne dei giornali non mi scandalizzano poi così tanto – nell’epoca del multimedia sono concorrenti della tv – della condotta dei politici resto invece allibito perché esibendosi nelle loro strumentalizzazioni da dervisci rotanti non pensano ai danni che possono fare ai posti di lavoro.
Già immagino, dopo questa campagna su vasta scala, commenti del pubblico del tipo: “eh certo il Tg3 fa questo perché ormai è di Renzi”…”eh quando c’era lei, i treni arrivavano in orario”…ecc.ecc.
Per carità, sulle nomine nell’informazione (bene primario) in un’azienda finanziata anche con il canone è legittimo il dibattito, anzi è un bene. Ma in questi giorni di dibattito (fatte le dovute eccezioni) se n’è visto molto poco, c’è stata invece una sorta di campagna.
Noi continueremo a fare – con tutti i nostri limiti – del nostro meglio per servire il pubblico. Dice bene il nostro Cdr.Certo qualche osservatore attento potrebbe notare che forse dietro questa campagna politica di solidarietà inaspettate si nasconde proprio il vecchio sogno di affondare il Tg3, questa volta dannandone la credibilità. Non lo so ma certo mi sembra strano che la stessa politica che per anni si è lamentata della nostra “libertà” o “diversità” (posso testimoniarlo negli ultimi 11 anni trascorsi al Tg3 con due direzioni diverse) oggi senta la nostalgia di quella stessa libertà…Curioso vero? Tra l’altro è un’offesa per chi è stato davvero epurato, in Italia e nel mondo, usare la classificazione di “epurata” per una professionista che dopo sette anni di incarico (il record assoluto alla guida di una testata Rai è di Antonio Di Bella, otto anni, ci sono direttori durati in carica molto ma molto di meno) e dopo risultati per me non memorabili, non solo non perde un euro del suo maxi-stipendio ma viene immediatamente ricollocata in una posizione di massima visibilità e massimo impatto sui palinsesti (addirittura prima del suo ex-Tg, del quale diventa il decisivo “traino” in termini di ascolti).
Sia ben chiaro tutte cose non giuste ma giustissime a norma di contratto ma, in quanto tali, incompatibili con le definizioni “epurata” o “rimossa”. Fermo restando che – va detto – per il contratto, la ricollocazione può avvenire anche in un ufficio, non necessariamente in uno studio televisivo con un proprio programma, oppure in una sede a migliaia e migliaia di chilometri da Roma come avvenuto per esempio per il predecessore della Berlinguer, Antonio Di Bella.
Dal generale al particolare, la mia storia
Ho atteso il giorno della sostituzione della Berlinguer per anni. Eppure – per la stima che ho del padre Enrico, un gigante a paragone di certi politicanti odierni – mi pesa sul cuore persino pensare di associare la parola “liberazione” ad un cognome che è nella storia migliore del nostro Paese.
L’ho attesa, questa sostituzione, non per motivi bassamente personali (nutro invece per Bianca Berlinguer un’istintiva simpatia e la trovo tra le migliori conduttrici di Tg degli ultimi decenni) ma perché negli anni della direzione Berlinguer mi è stato impedito di fare il mio lavoro di inviato, sono stato esautorato tanto da essere costretto – dopo tanti tentativi di soluzione interna – a difendermi in tribunale dove mi sono stati riconosciuti sessanta mesi di dequalificazione (dall’inizio della direzione Berlinguer alla data del dispositivo del giudice) con ordine di cessare sia la dequalificazione che gli atti di vessazione .
Tutto ciò nonostante il mio curriculum, la mia carriera, i tanti premi ricevuti, il mio impegno per le crisi, i conflitti, gli ultimi della Terra.
Volevo citare qualche passo della sentenza (di primo grado, l’appello si discuterà nel 2018 se non erro) ma non ci riesco perché è un’esperienza che mi ha fatto tanto male (anche alla salute) e soffro solo a riprenderle in mano quella carte. Preferisco confinarla nel passato, guardando al futuro.
In questi anni per parlare dei temi che mi stanno a cuore (le crisi, i conflitti, gli ultimi della Terra) non solo da una stanza di Saxa Rubra, ho dovuto persino impegnare il mio tempo libero. Per esempio, mettendomi in ferie per produrre il mio documentario su Ebola (che sta facendo il giro del mondo). Sempre nel tempo libero, ho realizzato il lavoro che avrei voluto realizzare in tv: scrivendo un libro sull’Afghanistan, che fa il punto sugli esiti della missione militare internazionale.
Di questa storia non ne ho mai fatto pubblica menzione perché non volevo alimentare le strumentalizzazioni, un po’ come quelle che ho visto in questi giorni. Insomma non volevo che il mio caso finisse nel ventilatore del politico di turno, usato non per difendere i diritti e la libertà ma per buttare fango sulla mia testata e sulla mia azienda.
Non l’ho fatto per evitare di dover incrociare i miei passi con certe personaggi della pseudo-sinistra dura e pura che a Berlusconi dovrebbero fare un monumento, perché ha dato loro la dignità dell’anti-berlusconismo; lobby che possiede il sacro timbro della vittima e del martire e lo assegnano a parametri variabili .
Non l’ho fatto perchè se un giornalista non è pronto a lottare per difendere la propria dignità, la propria autonomia e la propria idea laica di mestiere, basato sui fatti raccolti sul campo, è meglio che cambi mestiere.
Non l’ho fatto perché non voglio essere ricordato per una causa ma per il mio lavoro e per quanto ho prodotto, produco e produrrò. Un giornalista va sempre valutato per il suo ultimo servizio – diceva un maestro di questo mestiere.
Non l’ho fatto perché amo la Rai, il mio Tg3 e il servizio pubblico.
Non l’ho fatto o meglio sono riuscito a non farlo perché in un periodo difficilissimo ho avuto vicino la mia famiglia, tanti colleghi ed amici; loro sono stati il mio più grande riconoscimento.
Vorrei fare il nome di tutti – per ringraziarli – ma non ci riesco e non so nemmeno se posso farlo. Per cui mi limito a citare Romolo Sticchi dell’ex-Cdr del Tg3 (di cui facevano parte anche Vito Accardo e Valeria Collevecchio ugualmente combattivi), il mio ex-caporedattore Flavio Fusi, il segretario dell’Usigrai Vittorio di Trapani (nonostante gli svariati e reciproci “scazzi” sulla linea del sindacato), il dottor Franco Tripodi e l’avvocato Bruno del Vecchio.
Non sono stato l’unico in difficoltà al Tg3. Va ricordato l’esodo di molti (troppi) colleghi dalla testata in coincidenza con l’insediamento della Berlinguer. C’è persino chi ha fatto uno sforzo ancora maggiore del mio: subire, senza recarsi dall’avvocato per una scelta di principio personale. Penso quindi al nostro straordinario e compianto collega Santo della Volpe, una colonna della storia Tg3, marginalizzato in maniera inspiegabile come ha ben raccontato sua moglie, ed ex-collega del Tg3, Teresa Marchesi pochi giorni dopo la scomparsa del marito:
“I giornalisti lo sanno bene come funziona: basta pensare che il Direttore in carica ha le doti giuste per continuare a fare un giornale e i nuovi aspiranti magari no. Basta avere la spudorata onestà di argomentarle, le tue obiezioni. Firmi la tua condanna a morte professionale, insomma ti scavi la fossa. The same old story.
(…)
E’ rimasto sepolto in uno stanzino da cui usciva per chiedere, con dignità imperturbabile e senza appellarsi ai soliti “santi in paradiso” con licenza di raccomandazione, che gli facessero fare qualcosa, qualunque cosa si presentasse, anche la più modesta, purché operativa.
(…)
I cattivi Direttori per prima cosa marchiano a fuoco i loro “nemici”, nemici nella loro visione militaresca del potere. Niente lavoro per i signornò col cervello. I Direttori abili se li comprano (se in vendita) a suon di gratifiche e di stellette. I Direttori più bravi invece se li riavvicinano a colpi di buon lavoro della testata. Ma sono rari”.
Auguri
Auguro buon lavoro al nuovo direttore del Tg3, Luca Mazza, di cui ho grande stima come persona e come professionista (qui la sua intervista di oggi a La Stampa).
Sono sicuro che garantirà l’indipendenza e l’autonomia del telegiornale – dove ha lavorato per anni, prima di lasciarlo sette anni fa – secondo un’idea laica e non personalistica dell’informazione.
Certo dopo tutte le strumentalizzazioni di questi giorni il suo sarà un compito più difficile ma la redazione lo aiuterà. Se guardo ad una mozione del congresso del sindacato Usigrai (il sindacato dei giornalisti Rai) approvata all’unanimità a Salerno, molto critica contro la direzione Berlinguer, o se penso all’interruzione delle relazioni sindacali tra quella direzione e uno dei nostri Cdr (accusato di difendere i fannulloni! beh nella categoria c’ero forse anche il sottoscritto a cui veniva impedito di fare l’inviato? Chissà!) vedo che c’è tanto lavoro da fare, ma come recita un antico adagio di questo mestiere: i direttori passano, le testate restano. Fatemelo gridare: viva il Tg3, viva il servizio pubblico che fa il servizio pubblico.
PS: Oggi io volto pagina, non tornerò a parlare di questo argomento e non ribatterò a repliche o contro-repliche. Ripeto ho fatto un’eccezione vista l’enormità della situazione e per ridurre i danni in atto anche alla mia persona (dato che lavoro al Tg3 “renzizzato”). Vi prego di evitare strumentalizzazioni di quanto ho scritto e di astenervi da commenti volgari o inutilmente aggressivi. Diffido inoltre dal copiare e incollare, senza autorizzazione, in contesti diversi da questo blog..
Concordo su tutto e penso che da queste tue considerazioni si possa ricostruire il giornalismo del servizio pubblico😉