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Con gli occhi del Califfo

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MUNICH MASSACRE
la copertina del daily star, un tabloid inglese

A Monaco è entrato in azione un pazzo, ispirato dal neonazista scandinavo Breivik, ma a vincere nella città della Baviera è stato il califfato. Ecco perché…

Che il 18nne sparatore di Monaco fosse mussulmano – in questo caso – è persino un’attenuante: era di origini iraniane, quindi non arabo e sciita, la minoranza scismatica che è il bersaglio preferito dei macellai sunniti del califfato e di Al Qaeda (si veda l’attacco di oggi a Kabul contro la manifestazione degli hazara). Insomma il killer bavarese nulla aveva dell’identikit classico del “lupo solitario” o del “foreign fighter” di ritorno dalla Siria per portare morte in patria.
Ieri per giunta (e le agenzie di stampa, anche quelle italiane lo hanno ben riportato), era anche il quinto anniversario della strage di Utoya, quella condotta proprio dal pazzo norvegese il 22 luglio del 2011. Eppure questo indizio, assieme ad altri elementi come le grida dell’attentatore contro i turchi, l’urlo  “io sono tedesco” oltre al suo essere vestito completamente di nero (come certi neo-nazisti locali) sono passati subito in secondo piano.
Sui social media, sui media (che è ben più grave, visto che sono gestiti da professionisti dell’informazione) e nell’opinione pubblica è scattata, come un automatismo, l’associazione tra i fatti di Monaco e l’ISIS. Questa è di per sé una vittoria per l’autoproclamato stato islamico che, nella sua articolata strategia, ha portato ad un livello di sofisticazione senza precedenti la propaganda d’odio, organizzando una divisione media con mezzi, risorse e capacità di alto livello. I suoi video stanno inquinando le menti dei cosiddetti “lupi solitari”, che hanno varcato il confine della radicalizzazione dopo aver divorato la propaganda dell’ISIS, reclutati a distanza spesso senza aver mai nemmeno parlato con un “rappresentante” del movimento.

La polizia bavarese ieri non ha perso lucidità, mentre si moltiplicavano voci su attacchi multipli in città e su un commando di tre terroristi in azione, ha prima escluso che si trattasse di altri reati contro la persona e il patrimonio (per esempio, una rapina finita male) poi quando ha parlato di atto terroristico (tecnicamente: colpi d’arma da fuoco contro degli innocenti) non ha ceduto alla deriva delle interpretazioni o del panico e, quindi, non ha precisato la matrice degli attacchi.
Un percorso logico che tutti noi dovremmo seguire, cittadini e giornalisti (io personalmente ci ho provato nell’edizione straordinaria del Tg3 e non solo).
Perché nella società della comunicazione un “rumor” può diventare un macigno; perché la paura è la prima vittoria del califfato che lo aiuta a reclutare soldati nelle periferie di Bruxelles come in quelle di Lagos; a restare al centro dell’agenda governativa occidentale; a moltiplicare la sua potenza a dispetto della crisi militare che lo sta investendo in Siria e in Iraq.
La paura è anche lo strumento che ha indirizzato l’azione politica dall’11 settembre 2001 in poi, facendo passare in secondo piano le esigenze sociali crescenti di un mondo occidentale in piena crisi economica, giustificando guerre e azioni militari altrimenti nemmeno ipotizzabili.

Se non vogliamo guardare al mondo con “gli occhi del califfo”, se non vogliamo finire schiavi dell’algebra della paura, se vogliamo tornare a parlare degli argomenti (gli altri argomenti) cruciali nelle nostre vite (scuole, ospedali, sanità, legalità), per favore smettiamola di regalare pubblicità e “rivendicazioni” all’ISIS.
Torniamo ad esercitare il dubbio. Una dote di questi tempi non poco utile.

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Nico Piro

Provo a dare voce a chi non ha voce, non sempre ci riesco ma continuo a provarci. Sono un giornalista, inviato speciale lavoro per... continua a leggere