Domenica ho ricevuto il premio intitolato ad Alberto Jacoviello, storico inviato de l’Unità prima e de la Repubblica poi, assegnato all’ex-direttore del Corsera Ferruccio De Bortoli e a me.
Nell’affollato auditorium della scuola superiore di Lavello, in provincia di Potenza, poco distante dalla Fiat di Melfi, dove l’aspra bellezza lucana trova pace guardando al “tavoliere”, abbiamo conversato a lungo con il pubblico. Ho ricordato come in Italia di premi giornalistici ce ne siano dozzine, quasi tutti inutili, mentre il premio Jacoviello è invece per me “necessario”.
Mi ha spinto a dirlo non di certo il fatto che l’avessi ricevuto io ma la rimozione, l’oblio dell’opera di Alberto, un fenomeno avvenuto dopo la sua morte.
Jacoviello era una figura anomala, un meridionale arrivato dalle campagne lucane, dove un incidente d’infanzia (con conseguente amputazione di un braccio) l’aveva sottratto al suo destino di contadino per trasformarlo in un intellettuale. Un uomo di sinistra che nulla condivideva con l’insostenibile patriziato della sinistra romana, che con la sua divisa di prezioso velluto color terra bruciata classificava i buoni e i cattivi. Un eretico perché non ortodosso ad alcuna ideologia tanto che pezzi da Budapest, durante l’invasione sovietica, vennero censurati dal compagno Ingrao quando la svolta del Pci verso l’eurocomunismo era ancora di là da venire.
Il premio è frutto dello sforzo e della caparbietà della famiglia Jacoviello, con il minimo aiuto di istituzioni locali. È stata per me anche l’occasione per rivedere Ferruccio De Bortoli, fine intellettuale e direttore-galantuomo prima che un signor direttore.
Durante la cerimonia di consegna, ho chiesto che si lavori ad un archivio e ad una catalogazione dei pezzi, degli scritti (e se fossero ancora disponibili) degli appunti e dei materiali di Alberto. Basterebbe assegnare una borsa di ricerca ad un paio di neo-laureati, scelti per meriti. Costerebbe quanto mezza sagra di quelle che le Regioni meridionali finanziano per accontentare l’elettorato di questo o quel vice-re locale.
Grazie alla Rete un “fondo Jacoviello” istituito presso una biblioteca locale, potrebbe diventare il patrimonio globale di tutto il Paese e di chi ancora cerca di fare il proprio mestiere senza rispondere a nessuna chiesa. Nessuna, nemmeno alle attuali congreghe minori e un po’ squallide che agitando una nobile bandiera per coprire i propri interessi hanno ormai occupato gli spazi lasciati vuoti dalla – criticabile ma di gran dignità – politica italiana dei partiti di popolo.