Una frase indimenticabile della presidenza Karzai sarà sicuramente quella pronunciata, durante una conferenza stampa, qualche anno fa. Il presidente chiedeva se qualcuno avesse il numero di telefono dei talebani, rendendo pubblico questo “vuoto” della sua rubrica. Una frase apparentemente incomprensibile ma che in realtà sintetizzava in anticipo il problema che le trattative di pace con i talebani hanno ed avrebbero incontrato ovvero l’assenza di ogni certezza sulla controparte. Il governo afghano, insomma, non sapeva con chi trattare un’eventuale pace. Un problema che pare, finalmente, risolto.
I talebani hanno annunciato che apriranno una loro “ambasciata” in Qatar, in pratica potranno spostarsi (dal Pakistan, presumibilmente) in sicurezza senza essere costretti a passare per il territorio afghano, dove sono ricercati e obiettivo delle forze Isaf, e senza temere rappresaglia in quello che invece sarà per loro un territorio neutrale dove godranno – si ipotizza – delle tutele normalmente offerte ai diplomatici.
Per l’occidente si tratta di una vittoria (attribuibile a Stati Uniti e Germania) perchè appunto adesso sanno di avere un interlocutore certo e non rischieranno più di scarrozzare, proteggere e pagare, dei presunti emissari dei talebani che in realtà sono solo dei truffatori (è capitato anche questo negli ultimi due anni di tentata pace). Allo stesso tempo, in qualche modo, si mette all’angolo o meglio si emargina il Pakistan, un partner cruciale per la pace ma – come sappiamo – molto pericoloso.
In prospettiva, un accordo pur fragile e pur con una sola parte delle guerriglia (che non è formata solo dai talebani – ricordiamoli) servirebbe a far partire le truppe occidentali nel 2014 senza troppi rimorsi e polemiche nell’opinione pubblica occidentale e aiuterebbe anche la campagna elettorale di Obama nella sua seconda corsa alla presidenza.
Per il governo afghano è un colpo a freddo, non è stata coinvolta la Turchia nè un altro alleato storico di Kabul (i sauditi) che avevano ospitato altri tentativi di colloqui di pace durante il pellegrinaggio alla Mecca. Ma almeno il palazzo presidenziale esce dalla paralisi seguita all’uccisione di Rabbani, il capo dell’alto consiglio per le trattative.
Per i talebani è un’opportunità: quella di evitare di continuare ad invecchiare durante una guerra dove hanno chiaramente una posizione di vantaggio, in quanto forza di guerriglia, ma che sanno di non poter vincere esattamente come di non poter perdere. Tra l’altro, la posizione della recente conferenza di Bonn (supporto finanziario al governo Karzai anche dopo il 2014 da parte degli governi occidentali) ha ulteriormente allungato l’orizzonte temporale della “resistenza” talebana in un conflitto di logoramento.
Il vero nodo da sciogliere resta però sempre lo stesso: trovati gli interlocutori, avviate le trattative, quale sarà l’accordo? I talebani chiederanno di certo modifiche alla costituzione e, in primis, una forte riduzione dei diritti delle donne, in generale dei diritti di espressione ed individuali sanciti (non sempre garantiti) nel nuovo Afghanistan. Si finirà per siglare un accordo che riporta il Paese indietro di dieci anni? Certificando così l’inutilità di questi dieci anni di conflitto?
Inoltre sul fronte del governo Karzai, chi applicherà un accordo del genere? Non di certo i tagiki del Fronte Unito che già lanciano strali contro un’ipotesi di governo con i talebani (pashtun).
Per ora l’occidente dovrà cedere sulla liberazione di alcuni prigionieri talebani che sono ancora a Guantanamo così di fatto cedendo sul principio per cui non si tratta con chi ha avuto a che fare con Al Qaida.
E poi cos’altro verrà messo sul tavolo del negoziato?
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