La guerra in Libia non è finita. Si combatte a Sirte, a Bani Walid, a Sabha. Quella che i ribelli hanno definito l’offensiva finale in realtà sta andando avanti a colpi di lente avanzate e rapidissime ritirate. Uno stallo molto simile a quello a cui abbiamo assistito nei primi mesi del conflitto, i mesi della “guerra autostradale” tra Benghazi e Ras Lanuf, con la differenza che adesso i ribelli litigano fra di loro, in un clima di sospetti e divisioni tribali.
In questi giorni di città assediate, sono gli ex-ribelli (ormai diventati il legittimo governo del Paese o meglio di parte del Paese) a bombardare i centri urbani, come avevano fatto i lealisti (all’epoca, i governativi) nella povera Misurata, la città martire. Di mezzo, insomma, come in ogni guerra ci sono sempre i civili, chiamati a pagare il prezzo più alto.
A proposito, ma quanto è alto il prezzo di questa guerra? Il prezzo di vite umane? Sin dall’inizio il conflitto in Libia è finito nella spirale della censura governativa alla quale i ribelli rispondevano con notizie non verificate (e non verificabili dai giornalisti) ma rilanciate dai network panarabi in tutto il mondo fino a dare loro dignità di “fatto”. Parliamo, per esempio, dei bombardamenti e degli elicotteri che sparavano sui civili o le fosse comuni scavate a Tripoli.
E’ molto interessante questo articolo del New York Times che ha dato l’incarico ad un suo inviato di verificare le cifre del governo transitorio secondo cui il bilancio delle vittime della rivoluzione è compreso tra i 30 e i 50mila morti, senza considerare i combattenti lealisi uccisi. Cifre che dalle verifiche sul campo condotte sin’ora sarebbero pari ad un decimo di quelle dichiarate. Se non cambia molto sul piano della drammaticità del conflitto (perchè una sola vittima in una guerra è sempre una di troppo) si evidenzia così di nuovo come in quest0 conflitto, forse più che negli altri, nella sua apparente linearità, la verità è stata una delle prime a cadere sul campo.
http://tashakor.blog.rai.it/2011/09/18/quei-morti-spariti/