Per un po’ non scriverò di Afghanistan su questo blog, perché “Middle East is keeping us busy” – come mi ha detto il corrispondente della Cnn da Kabul che ho rincontrato su un improbabile volo verso l’estremo lembo della Tunisia orientale.
Con il mio ‘fratello nella notte’ Gianfranco Botta, sono al confine con la Libia, a Ras Jedir, un posto sconosciuto improvvisamente diventato l’ombelico del mondo. Mentre una fiumara di gente, percorre il suo calvario provando a fuggire dalle violenze libiche, un centinaio di giornalisti e tecnici di tutto il mondo provano ad andare controcorrente: Tripoli è a soli centoventi chilometri da qui.
I tunisini, freschi di una rivoluzione, stanno dando una grande prova di solidarietà nonostante non se la passino bene: distribuiscono pane, latte, acqua e datteri che sono buonissimi…qualcuno ce li ha offerti, siamo forse troppo stanchi per fare una buona impressione.
È un dramma composto quello di questi profughi, gente andata in Libia a cercar fortuna e che racconta di violenze, rapine, soprusi dei militari ma non racconta di combattimenti o bombardamenti. Ho l’impressione che la censura di Gheddafi questa volta si sia fregata da sola, con il vuoto di notizie colmato da lanci di twitter, filmati e foto non verificabili che i media ,arabi in primis, hanno preso per buoni rilanciandoli, pur senza poterli verificare.
A proposito, mi sento ripetere da tutti i tunisini domande sull’amicizia Gheddafi-Berlusconi. Tutti mi contestano la posizione “soft” del nostro governo sulla crisi libica. Dal mio punto di vista, è un bel promemoria: a questo giro gli “amerikani” siamo noi. È forse la prima volta che in una trasferta, i giornalisti Italiani sono visti come amici dell’oppressore (dai suoi nemici) o come quelli che hanno armato i rivoltosi (da chi ascolta gli ultimi deliranti discorsi di Gheddafi). Questa volta non siamo la solita “brava gente”.