L’assalto di cui sto per parlavi non è stato condotto a colpi di arma da fuoco, nè con granate, nè con attentatori suicidi. E soprattutto non è stata opera dei talebani. La Kabul Bank è il simbolo del neo-capitalismo afghano ed è stata “rapinata” dalla classe dirigente che ruota intorno al governo Karzai. Adesso il suo tracollo, in puro stile Wall Street, rischia di far scivolare nel baratro tutto il Paese.
Per la verità più che di neo-capitalismo si dovrebbe parlare di economia di guerra, quell’economia legata non tanto ad una vera crescita del prodotto interno lordo ma ad un’artificiale incremento dello stesso legato ai ricchi contratti per la logistica e la ricostruzione che arrivano dalla coalizione Isaf e dai fondi della ricostruzione internazionale alias dalla guerra.
La Kabul Bank, la più grande banca privata del Paese, emblema della rinascita afghana, è andata in crisi a fine agosto quando una folla di correntisti ha cominciato a ritirare i propri risparmi mettendo alle corde la stabilità della banca (che è il tesoriere delle forze di sicurezza alle quali paga gli stipendi per conto del governo). In pratica si è andata diffondendo la voce – rivelatasi vera – di una prassi di prestiti facili concessi agli amici degli amici (compreso il fratello del presidente e quello del vicepresidente), in buona parte utilizzati per investimenti immobiliari a Dubai. Una volta che la crisi dell’emirato si è propagata ci sono voluti pochi mesi per arrivare a far cadere anche l’ultima tessera del domino, appunto la banca afghana che è stata “nazionalizzata”.
Ma il caso della Kabul Bank è diventato un caso mondiale in un Paese che sta assorbendo milioni di dollari della comunità internazionale non donati per far arricchire la casta degli ex-signori della guerra ma per ricostruire il Paese e vincere “i cuori e le menti” degli afghani così da vincere la guerra.
E’ per questo che da mesi l’Imf, il fondo monetario internazionale, sta provando a raggiungere un accordo con il governo Karzai, in cambio di una nuova ondata di aiuti gli afghani devono vendere la Kabul Bank (che peserebbe per 500 milioni di dollari sulle case del governo) e rimettere mano al sistema creditizio. Senza il via libera dell’Imf, inoltre, molti Paesi donatori potrebbero non fornire altri fondi all’Afghanistan. L’ultima tornata di colloqui è fallita pochi giorni fa, ne ha riportato notizia il Financial Times che sta seguendo da mesi la vicenda.
Secondo il governatore della banca centrale afghana, Abdul Qadir Fitrat, di ben 315 milioni di dollari in prestiti sarebbe già garantito il rientro su un totale di 579, stime che molti però mettono in dubbio come la previsione che la banca possa tornare in profitto entro la fine dell’anno. Negli ultimi due mesi lo scandalo si è aggravato con l’apertura di un’inchiesta (purtroppo da parte del procuratore generale, noto per i suoi stretti legami con Karzai) e nuovi nomi “pesanti” coinvolti nello scandalo.
La vicenda della Kabul Bank è emblematica: i soldi arrivano dall’occidente finiscono al governo Karzai (con le migliori delle intenzioni), governo che ora vorrebbe, anche con quei soldi, ripianare i buchi della banca, buchi creati dagli stessi membri del governo per i propri affari personali…Forse spiegata così suona meglio, no? Forse, perchè il punto è anche un altro: la corruzione indebolisce la credibilità del governo quindi rafforza la guerriglia quindi rende inutili gli sforzi bellici contro i talebani. E poi mi chiedo perchè più di qualche candidato alle parlamentari che ho incontrato a Kabul lavorarava per la Kabul Bank?