Quasi nessuno se n’è accorto ma la settimana scorsa a Washington è successo qualcosa che avrebbe dovuto essere storia e che invece è finita con l’essere piccola cronaca. Una vicenda che sa molto di Italia, o meglio di politica all’italiana fatta di grandi impegni e puntate sulla memoria corta quando arriva il momento di attuarli. Certo la posizione di Obama in parlamento è cambiata rispetto a quando aveva annunciato la “surge” afghana (l’aumento delle truppe) ora che i democratici sono usciti con le ossa rotte dalle elezioni di medio-termine e il presidente deve scendere a patti con i Repubblicani(come ha fatto nel caso della triste conferma del provvedimento di Bush per un taglio delle tasse ai più ricchi). Eppure di fronte a risultati incerti e soprattutto all’impossibilità di fissare una data per il ritiro delle truppe, l’amministrazione Obama ha preferito ridimensionare l’importanza della “review” ovvero la revisioni (intesa come valutazione) della strategia afghana e annunciare quasi in sordina gli esiti. Sotto tono, nonostante ci troviamo praticamente a metà strada rispetto ai 18 mesi ovvero all’arco di tempo che il presidente si era dato per la sua escalation bellica che non sembra finita qui.
Dalla “revisione” emerge che ci sono miglioramenti sul campo anche se “fragili e reversibili” (dicitura che giustifica la prosecuzione della spinta militare) e soprattutto che il problema resta oltre-frontiera ovvero in Pakistan, base logistica della guerriglia e di Al Qaeda (una sintesi qui). Anche se il vicepresidente Biden, pochi giorni dopo al programma televisivo “Meet the Press”, si è affrettato a dire che nel 2014 le truppe americane saranno tutte a casa, in realtà l’impegno di Obama di cominciare il ritiro delle truppe americane in più a partire dal giugno 2011 è chiaro che non verrà mantenuto e che lo scontro all’interno dell’amministrazione si gioca proprio sui numeri di un ritiro che potrebbe iniziare in maniera simbolica.
Mi è molto piaciuto l’articolo del NY Times che definisce la review (qui il documento declassificato ) come una relazione più importante per quello che non ha detto che per quello che ha detto. In pratica manca tutta la parte sulla “surge” civile, ovvero sulla ricostruzione (mancata) e sul nodo di fondo ovvero che il governo Karzai non è cambiato e che quindi si continua a combattere per una struttura di potere che spesso e volentieri deruba e opprime il suo popolo.
Il rischio più grande che vedo in questo documento mi sembra sia un’altra escalation bellica. In pratica, come accadde per i russi, siamo passati dalla fase del “abbiamo poche truppe” alla fase del “il problema è oltre confine”, un po’ come con la Cambogia durante la guerra del Vietnam.
In Pakistan la campagna di bombardamenti condotta da aerei senza pilota è senza tregua, ormai dall’attacco del capodanno dell’anno scorso alla base Chapman che costo la vita ai vertici della Cia in Afghanistan, gli attacchi si sono svolti a giorni alterni in questo 2010, un ritmo mai raggiunto prima. Attacchi che tutto sommato in aree così remote e pericolose rendono il problema delle vittime civili mediaticamente “trascurabile” (anche se apre un capitolo nuovo la recente azione giudiziaria della famiglia di una vittima innocente che ha poi portato al richiamo in patria per motivi di sicurezza del capostazione Cia a Islamabad). Gli attacchi negli ultimi giorni si sono estesi all’area del Kyber pass, sin’ora lasciata indenne come un altro possibile obiettivo ovvero l’area di Quetta. E’ chiaro però, nell’ottica di questa escalation, che non si può colpire solo dall’alto, non a caso oggi il NY Times riporta di come si stia lavorando ad ipotesi di raid oltrefrontiera un modo per esportare la guerra nel già instabile Pakistan, con conseguenze imprevedibili. Sulla review e sui fantasmi di un’ulteriore escalation militare mi sono piaciuti questi due articoli su Foreign Policy (1 – 2)
A proposito, dimenticavo. Due giorni dopo la presentazione della review, la conta delle vittime militari occidentali in Afghanistan raggiungeva la quota record di 700 unità, il 2010 è il peggior anno di sempre per le truppe straniere dalla cacciata dei talebani…ma questo purtroppo lo sapevamo da settembre.