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Morire per l’Afghanistan

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In Afghanistan è sempre difficile capire quale sia la verità. La vicenda dei dieci operatori umanitari uccisi conferma questa sorta di regola non scritta. Se i media internazionali hanno titolato limitandosi a alla notizia (qualcosa del tipo “uccisi dieci operatori umanitari in Afghanistan”), in Italia si è dato più peso alla rivendicazione talebana (qualcosa del tipo “uccisi perchè cristiani”) tanto che si sono registrati persino commenti di politici proprio sul tema della “guerra ai cristiani”. Le cose che sappiamo sull’episodio in realtà sono molto poche, a cominciare da quando si avvenuto (genericamente tra mercoledì e venerdì). In primo luogo la polizia locale accredita la versione della rapina (vedi qui) anche perchè – da quello che si sa – le vittime sono state spogliate di tutti i loro averi. I talebani hanno rivendicato l’attacco – è vero – parlando di “spie americane” e di missionari, quindi di proselitismo cristiano, con tanto di bibbie al seguito tradotte in una delle due lingue locali, il dharì. Anche gli uomini di Hekmatyar hanno rivendicato l’azione, ma senza precisarne il motivo. Eppure sappiamo ormai bene che i proclami talebani non sempre sono attendibili, visto che la guerriglia sa utilizzare sempre meglio i messaggi mediatici e cavalcare ogni episodio (come dimostra per esempio la dettagliata smentita – diffusa oggi – della storia sulla ragazza mutilata, cover-story di Time). Lo stesso responsabile della IAM (organizzazione che è di ispirazione cristiana ma che è attiva in Afghanistan dal 1966) si è detto scettico, parlando con l’AP, della matrice talebana. Appare anche molto strano che si sia salvato uno solo degli afghani, graziato – ha spiegato dopo – perchè mussulmano (non meno di quanto lo fossero gli altri due afghani uccisi! …anche se uno dei due pare fosse hazarà, quindi della minoranza sciita). Come è strano che il gruppo sia stato colpito appena lasciata la provincia del Nuristan (dove godevano della protezione dei capi tribali) ed aver fatto il suo ingresso nella sicura provincia del Badakhshan. Oltre ai due afghani sono stati uccisi cinque americani, una americana, una britannica, una tedesca. Tutti medici, a quanto risulta. Il capomissione era un americano, per trent’anni in Afghanistan, già espulso dai Talebani nel 2001 con l’accusa di proselitismo (che però all’epoca coinvolse tutta l’organizzazione, in un periodo in cui la maggior parte delle ong vennero cacciate via) e padrone della lingua e degli usi e costumi locali.

Il blog della dottoressa Karen Woo, la britannica uccisa che a sua  volta lavorava per una piccolissima organizzazione (bridge afghanistan ), racconta bene i dettagli di questo viaggio incredibile (vedi qui). Il gruppo ha camminato per quasi un mese (luglio) per avventurarsi nella più remota e misteriosa provincia afghana, il Nuristan – terra di guerriglia (di recente) e di banditi (da sempre). Secondo le previsioni avrebbero dovuto coprire un percorso di 190 chilometri per poi rientrare – come stavano facendo – in auto verso Kabul attraverso la rotta più sicura, appunto quella attraverso la provincia del Badakhshan. Avranno visto paesaggi spettacolari, conosciuto villaggi dove il Medio Evo non sembra mai passato e faticato duramente tra sentieri e montagne a quattromila metri di quota. Un’esperienza eccezionale ed eccezionalmente difficile, svolta senza clamore con l’umiltà di chi fa dell’aiuto agli altri una ragione di vita, diventata purtroppo anche un motivo per morire. Morire per l’Afghanistan, nel senso più alto del termine.

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Nico Piro

Provo a dare voce a chi non ha voce, non sempre ci riesco ma continuo a provarci. Sono un giornalista, inviato speciale lavoro per... continua a leggere