Sarà anche irresponsabile come dice la Casa Bianca pubblicare i 92mila documenti segreti come oggi hanno fatto il New York Times, Der Spiegel e il The Guardian, ma forse è ben più irresponsabile continuare a voler tenere il coperchio sulla pentola in ebollizione di una guerra che è sempre più ingestibile, arrivata com’è ai tempi supplementari, anche e soprattutto grazie alla magnifica strategia degli anni passati di Bush e Rumsfeld. Come è altrettanto irresponsabile, da parte delle fonti governative (americane e non), raccontare all’opinione pubblica internazionale che le cose vanno sì male ma poi non così male come invece si capisce, chiaramente, da questi documenti scritti dai militari in prima persona, ovvero da chi quella guerra combatte a rischio della proprio vita.
Soprattutto se si guarda alla scelta del New Times (ben descritta in questa nota ai lettori) di controllare in dettaglio i documenti, riscontrarne l’autenticità (che del resto il governo americano non mette assolutamente in dubbio in questi primi commenti) e soprattutto di non pubblicare dati sensibili ma non indispensabili a capire il contesto del “racconto” (come per esempio i nomi degli agenti segreti o degli uomini delle forze speciali che operano sul campo come quelli delle fonti afghane – proprio per non metterne in pericolo la vita) si capisce che poi di irresponsabile c’è ben poco.
I dati vengono dall’organizzazione wikileaks.com (vedi qui http://wardiary.wikileaks.org/) che in anticipo rispetto alla pubblicazione di oggi, qualche settimana fa, li ha forniti alle tre testate internazionali – proprio per consentire loro la rielaborazione giornalistica di materiali altrimenti indigesti per la loro enorme mole; farebbero parte dello stock di dati classificati trafugati da un giovane militare americano (attualmente agli arresti in Kuwait, per quanto se ne sa) servendosi semplicemente di un finto cd musicale (in realtà un disco riscrivibile). Dati poi passati – come il video del massacro iracheno dei due giornalisti Reuters e di diversi civili – proprio a wikileaks.org
A proposito se vi trovare a Londra, martedì 27 il fondatore dell’organizzazione sarà ospite del FrontLine Club per una conferenza che si preannuncia interessante. Julian Assange è stato per mesi in fuga in giro per il mondo, proprio per prepare la diffusione di questi documenti e di un’altra vasta quantità dei quali non si sa ancora nulla.
Non ho avuto ancora il tempo di leggere nel dettaglio almeno una parte dei documenti, delle fonti originali (che riserveranno probabilmente anche qualche commento e qualche notizia sull’attività dei militari italiani), ma le sintesi giornalistiche (qui il dossier del NY Times, qui quello del The Guardian, e quello di Der Spiegel – purtroppo per me solo in tedesco) sono molto interessanti ed utili per navigare nel mare magnum di questi rapporti classificati. Sostanzialmente, i filoni delle”rivelazioni” sono quattro e riguardano tutti i punti criciti della guerra in Afghanistan: le vittime civili; l’utilizzo modello far west delle forze speciali; il ruolo dei servizi segreti Pakistan; la guerra delle ied. A prescindere dal racconto che ne emerge (perchè a tratti si legge come un racconto fatto da inconsapevoli protagonisti) queste rivelazioni potrebbero essere ricordate più che per quello che rappresentano di per sè, come un colpo al governo americano già alle prese con non pochi problemi interni. Ovvero come una pietra tombale sull’idea che questa guerra si possa raddrizzare o come ritiene il generale Petraeus che la dottirna McChrystal sia sì buona ma applicata male sin’ora.
Resta ovviamente l’interrogativo sul che fare in Afghanistan, ma leggo in giro (come sul Financial Times di qualche giorno fa) che iniziano ad emergere soluzioni fantasiose come la scissione del sud, elemento base di un costituendo Pashtunistan. La confusione mi sembra essere l’unica certezza, ora che – applicata seppur parzialmente la nuova strategia di Obama – la situazione peggiora invece che migliorare e non c’è più nemmeno la speranza di un anno fa, ovvero che le nuove direttive, le nuove idee potessero capovolgere il quadro del conflitto.
Dall’Ansa…
AFGHANISTAN: WIKILEAKS; DOSSIER ANCHE SU ATTIVITA’ ITALIA
REPORT SU VICENDA MASTROGIACOMO, HANEFI E MINE ITALIANE
(ANSA) – ROMA, 26 LUG – Spuntano anche dossier sull’Italia
dopo una prima lettura di parte degli oltre 75.000 resoconti di
intelligence (sui 91 mila esistenti) pubblicati sul sito
internet di Wikileaks.
Un documento si riferisce al rapimento ed alla successiva
liberazione di Daniele Mastrogiacomo, rapito in Afghanistan nel
marzo 2007: ”Il governo estone e’ profondamente contrariato con
l’Italia per aver ceduto ai terroristi”, si legge in un report
del 27 marzo. ”Il governo di Tallin e’ preoccupato che le
azioni del governo italiano possano mettere in maggiore pericolo
le truppe estoni schierate. Tallin non fara’ una dichiarazione
ufficiale sulla vicenda poiche’ molte altre nazioni (tra cui Usa
e Gb, ndr) hanno sottolineato simili punti criticando il governo
italiano”. Mastrogiacomo venne liberato dopo uno scambio di
prigionieri con i talebani, una trattativa complessa portata
avanti con l’appoggio del governo di Kabul e mediata da
Rahmatullah Hanefi, all’epoca manager dell’ospedale di Emergency
a Lashkargah, che venne arrestato dopo la liberazione del
giornalista italiano. Hanefi era accusato di aver avuto un ruolo
nel rapimento del reporter italiano. La trattativa con scambio
di prigionieri provoco’ tensioni in seno all’alleanza militare:
molti Paesi, a partire dagli Stati Uniti, videro il complesso
negoziato come un cedimento ai talebani.
In un altro report, del 28 marzo 2007, si preannunciava la
decisione di Roma di ”minacciare la chiusura dell’ospedale di
Emergency a Kabul se il responsabile afghano (Hanefi, ndr) nella
provincia di Helmand non verra’ scarcerato”. Due giorni dopo,
il ministro degli Esteri italiano in carica, Massimo D’Alema,
auspicava che ”non si creino le condizioni per una chiusura
degli ospedali di Emergency”. Il giorno prima, il fondatore di
Emergency Gino Strada aveva detto che ”senza garanzie” sulla
sorte di Hanefi Emergency avrebbe rivisto la propria presenza a
Kabul.
In altri rapporti si riferisce della distruzione delle mine
italiane (in particolare il modello TC-6 anticarro), per
impedire che finiscano nelle mani dei talebani e siano
riutilizzate come Ied.
Buona parte della documentazione sinora esaminata riferisce
infine di incidenti e notizie di varia natura relative alle
attivita’ di routine dei militari italiani nella provincia di
Herat.