La valle non è più la “maledetta valle”. Come racconta questo resoconto del NY Times l’esercito americano ha abbandonato Korengal, una spaccatura in mezzo a montagne di tremila metri coperte di foreste (quantomeno) secolari, nella provincia di Kunar, al confine con il Pakistan, che molti ricordano come la “maledetta valle” o la “valle della morte”. Nel gergo tecnico che i militari tanto amano e che, forse, serve loro a non spaventarsi quando si parla di vita o di morte, Korengal era il posto più cinetico di tutto l’Afghanistan, traduco: quello dove si spara e ti sparano dalla mattina alla sera. A rendere famosa la valle ci hanno pensato questa sua qualità, le vittime militari, quelle civili e alcuni giornalisti come Tim Heterrington (che ci ha vinto il world press award del 2008) e poi con lui Sebastian Junger, co-autore del documentario Restrepo che ha vinto il Sundace ed è da poco in circolazione (ecco il suo editoriale sul NY Times). La chiusura di KOP è uno di quegli argomenti polarizzanti che i militari americani discuteranno per anni e che forse finirà in un film (un primo “filmino” ce l’hanno già girato i talebani). Della chiusura di Kop (l’unica doccia al mondo dove l’aereazione era fornita dai buchi di una sventagliata di mitragliatrice) ha scritto anche l’analista militare Gianandrea Gaiani sul Sole24Ore che tra l’altro (e lo ringrazio) mi cita per i miei reportage dalla valle. La foto pubblicata sopra mi ritrae con Gianfranco Botta del Tg3 prima della partenza dal Kop, da qui anche la risata liberatoria di entrambi. Insieme vinceremo poi il Premio Alpi proprio per un pezzo girato lì.
Non vorrei fare un’analisi militare e strategica sulla chiusura di Korengal, anche perchè ne ho già parlato mesi fa in questo post, anticipando proprio la chiusura di quel “fortino”. Vorrei solo fare delle considerazioni assolutamente personali. La valle non è più maledetta perchè i militari l’hanno lasciata, chi è riuscito a lasciarla tutto di un pezzo può essere felice. Saranno felici anche gli abitanti dei piccoli villaggi di quella spaccatura nella roccia che continuiamo a voler chiamare valle, un pezzo di medioevo nel terzo millennio; forse ora potranno dimenticare il lato orribile della tecnologia che abbiamo portato lassù come gli AC-130 e i missili hellfire. Korengal è l’icona dell’assurdità della guerra. Per chi crede in questo valore, è anche un monumento all’eroismo, inteso come sacrificio fine a se stesso e senza farsi troppe domande. Pensare che Kop non ci sia più, fa venire un senso di desolazione: a che sono serviti anni di combattimenti, vite perse e tonnellate di bombe? A nulla, è la risposta. L’unico conforto può venire da una speranza, quella di tornare a vedere quelli che sono tra i paesaggi più belli del mondo, senza giubotto antiproiettile e un Apache pronto a tirarti fuori dai guai. Forse capiterà, un giorno.
[…] o per numero di caduti alla valle di Korengal, la valle della morte (da poco abbandonata dagli americani nella provincia di Kunar ). Del resto il sergente Massimiliano Ramadù e il caporal maggiore Luigi Pascazio, uccisi oggi da […]
[…] ora) chiamato Afghanistan. Ne ho scritto varie volte in questo blog per le sue frequentazioni di un luogo a me molto caro, la valle di Korengal dove ha girato il documentario Restrepo, dal nome del caduto Juan […]