La missione afghana appena conclusa (aprile-ottobre 2009) dai paracadutisti verrà ricordata probabilmente sia nella storia della Folgore che in quella dell’impegno militare italiano in Afghanistan, per diversi motivi. Mi limito per ora ad enunciarli come argomenti da approfondire – tra questi ci sono sicuramente i fatti del 17 settembre, il peggior attacco subito dalla missione italiana nel paese, quella che molti hanno definito la Nassyria afghana per fare un parallello con il terribile attentato in terra irachena. C’è soprattutto il nuovo “passo” dato all’azione italiana sul terreno (non senza polemiche, seppur meno di quanto ci si potesse aspettare) con la Folgore coinvolta in sei mesi in più “contatti”, alias combattimenti, di tutti i contingenti militari italiani che l’hanno preceduta, messi insieme. In questi mesi, vista anche la popolarità dei parà, il mondo politico ha gareggiato nel portare la “vicinanza” del Paese alle truppe sin dall’inizio della missione; un fatto nuovo nel panorama italiano, c’è poco da dire (tema a parte resta la capacità di affrontare in profondità il dibattito sull’afghanistan del mondo politico nostrano, tutto).
Un fatto nuovo è stata anche la cerimonia di “coming home”, del saluto per il ritorno a casa della brigata sabato scorso a Livorno, coincisa quest’anno con il 67esimo anniversario della battaglia di El Alamein e con il cambio di comando, dal generale Rosario Castellano che abbiamo conosciuto in questi mesi di impegni afghani, dove ha comandato l’RC-West, al generale Federico D’Apuzzo, anch’egli dai recenti trascorsi afghani dove fino a pochi mesi fa è stato consigliere militare alla nostra ambasciata a Kabul. Per la cronaca, entrambi campani.
Definisco un fatto nuovo la festa del 14 novembre, per via delle sue dimensioni (la cerimonia si è svolta allo stadio di
Livorno per poi continuare sul lungomare) e la partecipazione sia di parà (reduci ed ex inclusi) che di pubblico, un qualcosa molto vicino alla tradizione americana di radicamento sul territorio dei diversi corpi militari, direi molto inusuale per il nostro paese. Personalmente è stata l’occasione per rivedere “senza giubotto ed elmetto” (aggiungerei anche sane e salve) molte persone con le quali ho lavorato in questi mesi sul campo, in condizioni non sempre facili ma devo dire sempre ricevendo una grande collaborazione. Chissà se, alla luce di questi elementi di novità, in futuro in Italia si potrà affrontare in maniera laica il tema del rapporto militari-società e forze armate-politica – è una speranza che coltivo da quando mi occupo, via Afghanistan, anche di militari…
Per un breve reportage fotografico sulla festa vedi qui