Otto militari americani uccisi, due avamposti finiti sotto simultaneo attacco. E’ un film purtroppo già visto, l’episodio avvenuto ieri in Nuristan e le cui proporzioni, pur nei primi racconti, appaiono devastanti.
Un film già visto perchè il 13 luglio del 2008, gli uomini della compagnia chosen del secondo battaglione “The Rock” della 173ma brigata aviotrasportata si erano trovati protagonisti, loro malgrado, di una battaglia drammatica e dai tratti “epici”, di quelle che fanno la storia dell’esercito americano. Pochi mesi prima ero stato embed (con il collega Gianfranco Botta) nella loro area di compotenza (Task Force Bayonet) e quindi quell’episodio mi colpì particolarmente anche perchè conoscevo l’unità coinvolta e il complesso terreno sul quale si era svolta la battaglia, la montuosa area orientale del Paese e specificamente la provincia del Nuristan. Una battaglia durata una giornata intera con un avamposto americano (aperto solo pochi giorni prima) finito sotto attacco, quella di Wanat. Verrà chiuso poco dopo la fine degli scontri, conclusisi con un bilancio di 9 militari caduti, 27 feriti e racconti di uomini che hanno sparato fino all’ultima cartuccia, faccia a faccia con duecento talebani, nell’attesa di un supporto aereo arrivato tardi per vari motivi a cominciare dalla vicinanza con le case del villaggio; il tutto sullo sfondo di un comportamento poco chiaro della corrotta e debole polizia afghana e con l’aiuto della popolazione locale. La battaglia, una volta che Stars and Stripes ne diffuse i dettagli, venne subito definita la “black hawk down” dell’Afghanistan e sono certo che presto la vedremo sul grande schermo (segnalo la sintesi del Washington Post da leggere qui). I sopravvissuti sono stati in buona parte decorati, le vittime facevano tutte base a Vicenza.
Nelle ultime ore si è diffusa la notizia di una battaglia analoga, di cui ancora si sa molto poco. Due gli avamposti (probabilmente non basi operative avanzate ma le ben più piccole “firebase”) finiti sotto attacco nella stessa area al confine con il Pakistan, quella della provincia del Nuristan. In quell’area opera unità della 4rta Divisione di fanteria, con cui sono stato embed poche settimane fa.
Tredici le vittime, otto militari americani e due uomini dell’Anp, la polizia afghana. Ci vorrà almeno qualche giorno per capirne di più ma pare che l’attacco sia stato sferrato, complice la foschia della prima mattina di sabato, da milizie tribali guidate dagli uomini di Hekmatiar. L’attacco si è sostanzialmente concluso con l’intervento aereo, fonti americane riferiscono che contro i ribelli è stato letteralmente lanciato, sganciato, tutto il possibile. Del resto da quelle parti si applica una regola base dei combattimenti, quella dell’elevazione di quota: una volta che spari dall’alto hai una posizione di vantaggio difficilmente colmabile, e i guerriglieri che conoscono benissimo il terreno sanno come sfruttarlo soprattutto di fronte a basi che non possono non essere circondate dalle montagne e che, quindi, rispetto alle posizioni degli insorti si trovano in basso.
Per ora segnalo le prime ricostruzioni dal New York Times e quella ben più dettagliata dal Washington Post (richiede la registrazione, gratuita).
Chiusura della piccole basi. I due avamposti erano destinati ad essere chiusi perchè ormai l’Isaf, con la nuova dottrina McChrystal, ha deciso di concentrarsi sulle aree densamente popolate, ritirandosi (viste anche le risorse limitate) da quelle aree remote dove fanno base i guerriglieri ma che sono aree difficilissime. Il governatore del Nuristan, intanto, continua a parlare del pericolo, in caso di ritiro degli americani, di caduta della provincia nelle mani talebane e di guerriglieri in genere. Lo stesso tipo di allarme che all’inizio dell’estate aveva fatto scattare la complessa e faticosa offensiva di Barge Matal.
Il Nuristan è una battaglia persa. Un terreno difficilissimo. Si tratta della regione più isolata dell’intero Afghanistan, tanto isolato che la leggenda (mai provata scientificamente ma apparentemente confermata dai “volti” degli abitanti locali) vuole che lì vivano gli “eredi” di Alessandro Magno, “eredi” ovvero dei soldati macedoni e comunque di quelli occidentali di passaggio in quelle valli nella loro marcia verso l’India. Un patrimonio genetico conservatosi fino ad oggi proprio per via dell’inaccessibilità di quelle valli. Inoltre il Nuristan, che significa letteralmente la terra della luce, fino ad un paio di secoli fa veniva definito il Kafiristan, ovvero la terra degli infedeli, i suoi abitanti vennero convertiti da una sorta di animismo all’islam grazie alla lama della scimitarra. Dal punto di vista orografico è una zona montuosa (vedi il bellissimo libro di viaggi degli anni ’50, “a short walk in the Hindu Kush”) fatta sostanzialmente da tre “valli”, da dove è possibile entrare solo dal versante inferiore e dove è impossibile spostarsi lungo l’asse est-ovest. In generale, è difficilissimo spostarsi e mantenere una presenza costante perchè è davvero complicato far arrivare i rifornimenti. Di recente, ho sentito racconti di soldati impegnati nell’offensiva di Barge Matal che, lì sù, erano rimasti persino senz’acqua.