L’annuncio dell’aumento delle truppe americane, più volte anticipato dai vertici della nuova amministrazione Usa, e dato per imminente (dalle indiscrezioni di stampa) già una settimana fa, non è ancora arrivato.
L’intera strategia sul paese asiatico è in fase di revisione alla Casa Bianca e dovrebbe essere definita entro la primavera (ad aprile il summit Nato, durante la quale condividere con gli alleati obiettivi) ma ci sarebbero problemi sul prossimo dispiegamento di tre brigate aggiuntive tra la primavera e gli inizi dell’estate (ad aprile “tradizionalmente” riprendono i combattimenti in Afghanistan). Al riguardo, il Pentagono smentisce che possano esserci ritardi, ma il punto è che per dispiegare più uomini nel “teatro” afghano c’è bisogno di ridurre i numeri americani in Iraq.
Il nodo pare essere questo: i vertici militari sarebbe favorevoli ad un ritiro più lento dall’Iraq di quello previsto dalla Casa Bianca (i 16 mesi promessi da Obama in campagna elettorale, funzionali a “travasare” di truppe dai turni in Iraq a quelli in Afghanistan). Ma l’unico modo per far partire il rafforzamento in Afghanistan senza incidere sull’Iraq (come appunto vorrebbero i vertici delle forze armate) sarebbe ridurre i turni di riposo “a casa” tra una missione e l’altra, ovvero mettere ulteriormente sotto pressione i militari e le loro famiglie dopo anni già durissimi. Soluzioni quest’ultima che il Pentagono vuole evitare.