{"id":5674,"date":"2016-09-20T11:46:48","date_gmt":"2016-09-20T09:46:48","guid":{"rendered":"https:\/\/nicopiro.wordpress.com\/2016\/09\/20\/unopera-definitivasullafghanistan\/"},"modified":"2016-09-20T11:46:48","modified_gmt":"2016-09-20T09:46:48","slug":"unopera-definitivasullafghanistan","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/nicopiro.it\/2016\/09\/20\/unopera-definitivasullafghanistan\/","title":{"rendered":"Un’opera “definitiva” sull’Afghanistan"},"content":{"rendered":"
La recensione\/commento\u00a0ad “Afghanistan Missione Incompiuta” del collega della redazione Esteri del Tg2, Filippo Golia, crowdfunder della prima ora – per gentile concessione dell’autore.<\/em><\/p>\n Mentre leggevo \u201cAfghanistan missione incompiuta\u201d ho iniziato a segnare alcuni passaggi con un foglietto colorato. Alla fine il libro assomigliava a uno di quei fili di bandierine, con una preghiera ciascuna, che i buddisti stendono in Bhutan e Tibet.<\/p>\n \u201cIl mondo \u00e8 un vaso spezzato. Il sacrificante tenta di ricomporlo, lentamente, pezzo per pezzo. Ma certe parti sono sbriciolate. E, anche quando il vaso \u00e8 ricomposto, lo solcano molte ferite. C\u2019\u00e8 chi dice lo rendano pi\u00f9 bello.\u201d<\/p>\n Come in questo passo dei Veda, che furono concepiti proprio al di l\u00e0 di quella catena dell\u2019Hindu Kush che in \u201cAfghanistan missione incompiuta\u201d rappresenta una frontiera costante – da attraversare, attraversata, insuperabile – il libro \u00e8 un tentativo di rimettere insieme tutti i pezzi di un puzzle impossibile.<\/p>\n L\u2019ossatura \u00e8 data dal resoconto di fatti vissuti in prima persona come inviato a pi\u00f9 riprese in Afghanistan, spesso come giornalista embed, con le truppe statunitensi e italiane. Ma resoconto nella linea di una tradizione, per lo pi\u00f9 britannica, di giornalisti e viaggiatori, che con il viaggio, il luogo, gli eventi, intraprendono una lotta per conquistarne l\u2019anima.<\/p>\n Nemmeno per un momento Piro si sogna di vivere come un limite il fatto di trovarsi a raccontare gli eventi dal punto di vista dei soldati occidentali. A garantire l\u2019obiettivit\u00e0 del resoconto non \u00e8 tanto l\u2019etica del giornalista quanto l\u2019assunto alla base di tutto il libro: l\u2019ultima guerra in Afghanistan \u00e8 una guerra assurda, impossibile, dagli esiti paradossali, come quelle che l\u2019hanno preceduta. L\u2019Afghanistan stesso \u00e8 patria d\u2019elezione dell\u2019assurdo e del paradosso, ben rappresentati dal gioco nazionale del buzkashi, in cui i cavalieri inseguono una pelle di capra: un tutti contro tutti senza regole, che sembra fatto apposta per allibire un occidentale.<\/p>\n La guerra osservata da questo crinale non ha pi\u00f9 aggressori e aggrediti ma solo vittime da guardare con la stessa piet\u00e0. Anche se il giornalista non fa sconti a nessuno \u2013 meno che mai agli italiani – e in quell\u2019assurdo fruga fino allo sfinimento, per scovare cause, errori, ipocrisie, falsit\u00e0, piani falliti, progetti accantonati, sprechi e follie. Cos\u00ec pu\u00f2 ben scrivere, ricordando il lavoro del fotografo Tim Hetherington, \u201cil giornalismo embed \u2013 demonizzato nell\u2019Italia dei dogmi ideologici \u2013 pu\u00f2 essere comunque buon giornalismo se conserva le giuste distanze e le regole base del \u201cmestiere\u201d.<\/p>\n Il resoconto d\u00e0 al libro solo lo scheletro, su cui si inserisce una quantit\u00e0 impressionane di aneddoti, divagazioni, ricerche, excursus storici, citazioni di altri reportage o articoli o racconti di viaggio. Piro \u00e8 consapevole di star maneggiando un Cubo di Rubik, che mentre fai una faccia un\u2019altra si disfa: per questo non tenta un percorso unico: n\u00e9 sceglie un unico ingresso n\u00e9 cerca un\u2019unica uscita dal dilemma Afghanistan; ma prova tutte le porte del labirinto, in tutte le direzioni si avventura e in ogni direzione \u00e8 disponibile a valutare un\u2019uscita.<\/p>\n La drammatica ritirata inglese del 1842 da Kabul lungo la Jalalabad Road, un unico superstite in una colonna composta da oltre 16mila persone, viene raccontata due volte nella prima parte del volume, una intrecciandola al ricordo di un viaggio in macchina dell\u2019autore, camuffato da afghano, da kabul a Sorobi; un\u2019altra entrando dalla porta del National Army Museum di Chelsea a Londra, che all\u2019Afghanistan del Grande gioco dedica una mostra. I due racconti si riprendono e completano a vicenda. La storia dell\u2019invasione russa dell\u2019Afghanistan torna decine di volte in tutto il libro, come esempio, modello, apologo, miniera di esperienze e storie. E cos\u00ec veniamo a sapere delle brigate musulmane dell\u2019armata rossa, del museo della Jihad antisovietica ad Herat e dell\u2019ex soldato russo convertito che ci lavora. Cos\u00ec seguiamo la fuga del presidente fantoccio dell\u2019Afghanistan sovietico Najibullah, detto a Mosca Najib, fin sulla porta delle Nazioni Unite a Kabul.<\/p>\n L\u2019ombra di Alessandro Magno, che attravers\u00f2 con il suo esercito queste terre 2340 anni fa, \u00e8 pronta ad affacciarsi dietro ogni pagina, e accompagna l\u2019autore, alla fine di un viaggio mozzafiato, fin dentro i ruderi di Alessandria Oxiana, il punto di massima penetrazione a oriente del condottiero macedone.<\/p>\n C\u2019\u00e8 una tensione etica a denunciare tutti gli errori fatti dalla coalizione occidentale, a fare chiarezza e a spiegare cosa era, cosa potrebbe essere e cosa \u00e8 diventato l\u2019Afghanistan. Ma c\u2019\u00e8 anche un movimento diverso che porta a voler rivivere tutto quello che \u00e8 accaduto, ad entrare in ogni particolare, a restituire ogni arma usata, ogni proiettile sparato, con il modello, il calibro, la provenienza, il costo. Fino a veri e propri elenchi, scrupolosi per dovere di testimonianza, come quello in cui si numerano gli episodi di soldati dell\u2019esercito afghano che hanno sparato sui propri alleati della coalizione, nel capitolo Sohna ba shohna (spalla a spalla).<\/p>\n E, contrariamente a quanto si crede, \u00e8 proprio quando si arriva agli elenchi che il passaggio verso la letteratura \u00e8 prossimo, come sa qualsiasi appassionato di epica.<\/p>\n Del resto, da quando la realt\u00e0 si racconta in continuo da sola, giornalismo e letteratura si trovano di fronte alla stessa identica sfida: fornire un racconto del mondo pi\u00f9 interessante e completo di quello in diretta, in rete, onnipresente.<\/p>\n Ne nascono, da entrambe le parti, cose che non sono solo romanzi n\u00e9 solo racconti n\u00e9 solo reportage giornalistici ma vengono chiamate oggetti narrativi, in cui \u00e8 fondamentale, per sfidare la complessit\u00e0 del reale, il genio del montaggio. E questo \u00e8 il caso di \u201cAfghanistan missione impossibile\u201d.<\/p>\n Che si avvale anche di una scrittura capace di veri aforismi: \u201cLa guerra sembra monotona come quei macelli industriali dove entrano i manzi ed escono ritmicamente le scatolette\u201d; di colorismi da pittore: \u201cLa luce dorata si stava ormai ritirando all\u2019orizzonte come un fiotto d\u2019acqua azzurra che colava verso il fondo di un imbuto, carico di tinte bluastre\u201d e di metafore lucide e allucinate: \u201c[L\u2019Afghanistan \u00e8] una scatola foderata di specchi all\u2019interno della quale ritrovarsi ad aprire quelle stesse piaghe che si stava tentando di curare\u201d.<\/p>\n Quando l\u2019elenco non \u00e8 materialmente possibile, come per le vittime civili della guerra, un caso prende il posto di tutti. La straziante storia di khorshid, una bambina uccisa insieme ad altri minori come lei, in una strada di Kabul, vicino alla base americana, come al solito non ha un solo ingresso. Vi si arriva seguendo un terrorista confuso in motorino che sbaglia strada e bersaglio; entrando in un edificio dove un visionario arrivato dall\u2019Australia ha trapiantato lo skateboard per i piccoli afghani e dove l\u2019autore fa conoscenza con la futura vittima; passando da una redazione romana di Saxa Rubra, in una pigra domenica, dove arrivano le immagini dell\u2019attentato , che come al solito sembrano lasciare tutti indifferenti. E infine guardando la foto di Khorshid, fatta da Nico Piro, il suo sorriso misurato, che ha i giorni contati.<\/p>\n Fino al centro del labirinto, per riportare indietro almeno quello, un brandello di vita di una delle vittime, con quel sorriso cos\u00ec titubante, come solo i bambini sanno farne.<\/p>\n Nel libro c\u2019\u00e8 una discreta quantit\u00e0 di refusi. Io ho letto una primissima versione dedicata a chi ha partecipato al crowdfunding, che ne ha permesso la pubblicazione. Immagino che quello arrivato nelle librerie sia gi\u00e0 diverso. Ma nonostante gli elogi al coraggio di un editore, Lantana, che ha scelto di puntare sul tema e di imboccare la strada innovativa del lancio in rete, io credo che un testo come questo avrebbe meritato l\u2019onore della copertina rigida, di un editore affermato e di un sano lavoro di editing, che permettesse anche di regolare qualche ripetizione non funzionale e probabilmente non voluta.<\/p>\n Dopo la lettura della prima parte di \u201cAfghanistan missione impossibile\u201d, ho dovuto fare una pausa. Come i diabetici di insulina, io ho bisogno di leggere cose che non abbiano nulla a che vedere con l\u2019attualit\u00e0, con il nostro presente assoluto. Mi sono quindi distratto con un libro che racconta storie di scrittori: \u201cHotel a zero stelle\u201d di Tommaso Pincio, in cui sfilano tipi come Graham Greene, Philip K. Dick e David Forster Wallace.<\/p>\n Ma l\u2019Afghanistan, cos\u00ec presente fino a poche ore prima, non poteva far altro che tracimare anche nel nuovo libro. Tommaso Pincio racconta anche di un suo amico, l\u2019artista concettuale Alighiero e Boetti. Inizia cos\u00ec:<\/p>\n \u201cNel 1970, un anno dopo il ricalco del foglio a quadretti, Alighiero e Boetti cominci\u00f2 a viaggiare\u2026\u201d Lo segue fino a Kabul, dove l\u2019artista apr\u00ec un albergo, che si chiamava One Hotel. \u201cMa \u00e8 certo \u2013 continua Pincio \u2013 che in Afghanistan Boetti trov\u00f2 un modo per risolvere quel che per lui era la crisi dell\u2019occidente, l\u2019opprimente fede nell\u2019individuo in quanto creatore ispirato\u2026 L\u2019Afghanistan rappresentava la dimensione opposta. Un paese privo di cose create\u201d.<\/p>\n Pincio riporta le parole dell\u2019amico: \u201cLe case afgane sono vuote: non ci sono mobili e quindi nemmeno gli oggetti che di solito si poggiano sopra i mobili. Ci sono soltanto i tappeti e i materassi sui quali la gente si distende, beve, fuma e mangia. Mi piace anche il fatto che gli afgani indossino gli stessi abiti giorno e notte. Nulla viene aggiunto al paesaggio. Le rocce vengono spostate e usate per costruire case cubiche. La determinazione con cui gli afgani si oppongono alla nostra idea di civilt\u00e0 mi ha sempre stupefatto\u201d.<\/p>\n \u201cRussi prima e americani poi \u2013 conclude Pincio \u2013 avrebbero dovuto chiedere consiglio ad Alighiero prima di muovere guerra a quel paese; si sarebbero risparmiati un mucchio di grattacapi\u201d.<\/p>\n Che poi \u00e8 proprio la morale del libro di Nico Piro.<\/p>\n Quando lo ho ripreso in mano, lo ho fatto anche con la curiosit\u00e0 di sapere se in quelle 700 pagine, in cui sembra esserci tutto, ci fosse la storia del One Hotel.<\/p>\n Ed eccola, immancabilmente, a pagina 407: \u201cQuella era la Kabul che poteva tornare a essere Kabul, la citt\u00e0 degli anni \u201970 dove ti infilavi in un piccolo albergo, il \u201cKabul 1\u201d (\u201cKabul one\u201d o \u201cyek\u201d a secondo se vogliate leggerlo in inglese o in dhar\u00ec) e potevi trovarci Alighiero Boetti. Erano delle tessitrici afghane ad annodare gli arazzi dell\u2019artista italiano, oggi esposti nei musei di tutto il mondo, anche se in pochi lo sanno o se ne ricordano\u201d<\/p>\n Chi ha letto fino a qui (chi, quindi, mi auguro, ha letto o legger\u00e0 fino in fondo \u201cAfghanistan missione incompiuta\u201d) forse avr\u00e0 notato perfino che nel libro di Pincio l\u2019artista viene chiamato Alighiero e Boetti. In quello di Piro la \u201ce\u201d manca.<\/p>\n La congiunzione fu inserita dall\u2019artista all\u2019interno del proprio nome, negli anni 70, per mettere in crisi il concetto stesso di identit\u00e0. Ecco, quella \u201ce\u201d mi sembra l\u2019unica cosa che manca nel suo libro. Tutto il resto c\u2019\u00e8.<\/p>\n Di questo, di tanto sforzo, c\u2019\u00e8 da essergli sinceramente grati.<\/p>\n E non ci sarebbe bisogno di nessuna gratitudine particolare se il sistema editoriale e il mercato dei libri italiani fossero in grado di ricevere in modo adeguato un testo che, per ora, \u00e8 quello definitivo sulla nostra (nostra in quanto occidentali, prima che italiani) guerra in Afghanistan.<\/p>\n <\/p>\n <\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":" La recensione\/commento\u00a0ad “Afghanistan Missione Incompiuta” del collega della redazione Esteri del Tg2, Filippo Golia, crowdfunder della prima ora – per gentile concessione dell’autore.<\/p>\n","protected":false},"author":2,"featured_media":3443,"comment_status":"open","ping_status":"open","sticky":false,"template":"","format":"standard","meta":[],"categories":[21],"tags":[110,662,709,1081,1218,1288,1547,1584,1585,1859,1860],"yoast_head":"\n
\nVolontariamente o involontariamente Nico Piro l\u2019ha omessa.<\/p>\n