come rivela oggi il New York Times\u00a0<\/a>in un’inchiesta che ha un forte valore giornalistico, per un motivo molto banale:\u00a0le forze armate statunitensi\u00a0hanno il dovere di comunicare le proprie vittime, obbligo che invece non ricade sulle societ\u00e0 private e quindi sui “contractors”. Infatti i numeri raccolti dal quotidiano di New York attraverso varie fonti (attraverso l’equivalente del nostro\u00a0Ministero del lavoro) vengono\u00a0considerati sotto-stimati dallo stesso autore del reportage.<\/p>\n C’\u00e8 da fare chiarezza su un punto<\/strong>. Tra ideologismi sui mercenari “sporchi e cattivi” e anglismi amati in particolare da chi non conosce l’inglese, il termine contractor \u00e8 stato usato in questi anni in maniera assolutamente impropria: come sinonimo di guardia o soldato privato. In realt\u00e0 il fenomeno dei contractor per le forze armate \u00e8 ormai a 360 gradi senza considerare – a livello linguistico –\u00a0che se negli Stati Uniti vuoi rifare un bagno di solito non chiami un plummer (un idraulico) ma dei contractors…ovvero un gruppo di lavoratori a cui appaltare quel lavoro (nell’esempio un idraulico, un muratore, un piastrellista).<\/p>\nOrmai le forze armate americane<\/strong> dipendono profondamente dall’apporto di quelli che in Italia pi\u00f9 semplicemente definiremmo “appalti” (esattamente come dovremmo definire il grosso dei security contractor come mercenari) che si tratti di mense, di logistica come di scorte o altri lavori pi\u00f9 strettamente legati alle operazioni di guerra. Rispetto ai 90mila soldati americani\u00a0dispiegati in Afghanistan, nel Paese ci sono 113,491 “contractors” (il 22% dei quali sono americani, il 47% afghani, il 31% di altre nazionalit\u00e0).<\/p>\nI\u00a0dati del New York Times<\/strong> dimostrano come una delle aziende (la Supreme Group) che ha avuto pi\u00f9 caduti nei dieci anni di guerra afghani si occupi di catering, di mense appunto. Se la L-3 – un’altra azienda privata al servizio del Ministero alla Difesa – fosse un\u00a0Paese,\u00a0sarebbe il terzo dopo\u00a0Stati Uniti e Gran Bretagna per numero di caduti in Afghanistan come in Iraq.<\/p>\nA proposito,<\/strong> oggi, in Afghanistan si \u00e8 schiantato un elicottero: quattro le vittime, tutti\u00a0di nazionalit\u00e0 tagika, anche loro\u00a0al servizio\u00a0dell’Isaf. Trasportavano\u00a0rifornimenti e acqua per le truppe. E’ la morte in appalto: un modo per esternalizzare il\u00a0tributo di sangue di un conflitto e disperderlo in mille rivoli. Ruscelli\u00a0che poco peso\u00a0hanno sulle pagine dei giornali e quindi sull’opinione pubblica\u00a0\u00a0rispetto ai numeri militari scolpiti sul marmo delle lapidi\u00a0incornociate dalle corone di Stato.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"Nel 2011 in Afghanistan sono morti pi\u00f9 “contractors” al servizio del governo americano che soldati con la bandiera a stelle e strisce sul braccio.\u00a0430 contro 418, nell’algebra della\u00a0morte. Non era mai accaduto prima – come rivela oggi il New York Times\u00a0in un’inchiesta che ha un forte valore giornalistico, per un motivo molto banale:\u00a0le forze armate […]<\/p>\n","protected":false},"author":2,"featured_media":0,"comment_status":"open","ping_status":"open","sticky":false,"template":"","format":"standard","meta":[],"categories":[21],"tags":[110,173,310,468,469,853,855,1005,1244,1288,1299,1424,1547,1757,1860],"yoast_head":"\n
La morte in appalto - Nico Piro<\/title>\n \n \n \n \n \n \n \n \n \n \n \n \n \n\t \n\t \n\t \n