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La narrazione dell’oppio afghano è sbagliata, proviamo a riscriverla

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NARRATIVE
Per la nostra “attenzione l’Afghanistan, dal 1979 in poi, è come un fiume carsico, spunta ogni tanto e poi si ingrotta. Quando riemerge, di solito, si prova ad usarlo per fini politici “locali”, nostri, piuttosto che per affrontare il problema in sè. Capita anche con l’oppio afghano, di cui pieghiamo la narrazione a colpire il nemico del momento. In epoca social è persino peggio, visto che i virologi di ieri, poi diventati costituzionalisti col green pass si sono già trasformati in esperti di Afghanistan e conflitti.
Tra l’altro in questi giorni del tema dell’oppio se n’è parlato relativamente poco, se non grazie ad un intervento di Roberto Saviano, di cui scrivo sotto e che io, personalmente, ho trovato non condivisibile e poco accurato (ne scrivo sotto).

 

QUELLO CHE NESSUNO DICE
L’oppio è un frutto amaro della guerra. L’hanno usato i mujaheddin (buoni perchè amici dell’occidente e anti-comunisti, tutti compreso l’eroico Massoud). L’hanno usato i talebani. L’ha usato l’Alleanza del Nord. L’hanno usato i politici cosiddetti democratici (amici dell’Occidente). L’hanno usato tutti per far soldi. Quindi se vogliamo affrontare il discorso con serietà cominciamo dal dire che bisogna battersi per la pace piuttosto che pensare a quale sia il miglior diserbante possibile.
Ma andiamo con ordine.

LE RISORSE
La posizione

Un antico detto afghano recita: “Dio ha fatto il mondo e con gli scarti che gli erano rimasti ha messo insieme l’Afghanistan”. Per quegli “scarti” però si combatte, purtroppo, da sempre. A lungo la principale risorsa dell’Afghanistan è stata la sua posizione, all’incrocio dell’Asia. Non a caso una delle principali “industrie” afghane è stata ed è quella dei pedaggi, tassazione delle merci (carovane, una volta) in transito. Motivo per cui i talebani nella loro avanzata per conquistare il Paese hanno preso Spin Boldak e altri valichi di frontiera, mentre il governo denunciava milioni di dollari di ricavi persi.

Il sottosuolo

Da circa un decennio, sappiamo inoltre anche che il Paese è ricchissimo di risorse naturali, dall’uranio al litio. Al momento solo la Cina le sta sfruttando gestendo la più grande miniera di rame al mondo, nella provincia di Logar, mai attaccata dai talebani. Restano comunque tutte da sfruttare (e meritano un approfondimento a parte che farò nei prossimi giorni).

L’industria

Vent’anni di ricostruzione occidentale (un fallimento assoluto, servita solo ad ingrassare le tasche degli ex-mujaheddin) non hanno dato al Paese alcuna capacità produttiva interna salvo esempi come il conglomerato Alokazai o lo stabilimento della Coca-Cola. Il mercato interno da sempre preda di prodotti pakistani a basso prezzo, è ora ingolfato di quelli cinesi.

Economia di Guerra
Tra il 2001 e il 2015 la missione internazionale ha assunto personale, sostenuto aziende, dato commesse e appalti. Un flusso di denaro che ha creato un’economia c.d. di guerra, una bolla che è esplosa con il ritiro di fine 2014, aprendo una crisi economica feroce.

Least but not last
I principali datori di lavoro in Afghanistan sono due: uno legale (le forze di sicurezza) l’altro illegale (la coltivazione dell’oppio)

L’OPPIO
La missione internazionale in Afghanistan, dopo il 2001, aveva quattro “pilastri” cioè obiettivi, uno di questi era l’eliminazione dell’oppio afghano. Non solo l’obiettivo è stato mancato ma si è ottenuto l’effetto opposto. Basta guardare i grafici sotto (fonte Unodc).

In termini di ettari coltivati siamo passati dai circa 70mila del 2001 agli oltre 300mila del 2017 (anno record), più che quadruplicandoli.
Perchè? Per tre motivi di fondo: 1) la guerra ha creato instabilità, zone fuori controllo da qualsiasi autorità nelle quale ovviamente possono prosperare le attività illecite 2) la guerra ha creato necessità di fondi per pagare miliziani, dare “previdenza” alle famiglie, comprare armamenti, pagare costi vari, la guerriglia per farlo ha usato l’oppio 3) abbiamo messo al potere dei criminali che oltre a rubare i soldi della cooperazione hanno partecipato all’affare oppio, anche usando le campagne di eradicazione (in genere fallimentari) non per distruggere piantagioni ma per colpire la concorrenza.
Per lanciare questo boomerang gli Stati Uniti hanno speso 1,5 milioni di dollari al giorno (8 miliardi in 15 anni) dal 2001 al 2015. Tra l’altro negli ultimi anni, dopo il calo “inflattivo” post-2017 e una dura siccità, la produzione ha ripreso a salire. L’Afghanistan è il principale produttore al mondo di eroina, ne fornisce circa il 90% ma è un po’ sciocco descrivere la situazione così. Perchè? Perchè da vent’anni circa l’Afghanistan fornisce 85-90% della produzione mondiale – è vero – ma ha intanto moltiplicato in valore assoluto le tonnellate e gli ettari coltivati. Possiamo quindi dire che l’Afghanistan ha prodotto ben oltre il fabbisogno mondiale cioè che ha moltiplicato le dimensioni di un mercato dove è l’offerta a creare la domanda.
Grazie all’invasione del 2001, l’eroina è diventa un dramma planetario con strade alluvionate di dosi a basso prezzo.

EROINA NON OPPIO

Ho detto eroina non oppio. Perchè? Perchè negli ultimi dieci anni sono spuntati in Afghanistan anche laboratori di raffinazione, ad un certo punto i trafficanti afghani si sono scocciati di guadagnare solo sui pani di lattice di oppio (poca roba) e sono passati alla raffinazione di eroina in loco, tanto che l’eroina è diventata (assieme all’HIV) una piaga nazionale. Del suo simbolo – il “ponte” di Kabul – ne scrivo nel mio “Corrispondenze Afghane” e ho realizzato diversi servizi e reportage in mezzo ai dannati dell’eroina (tra loro tanti ex-soldati e poliziotti).
Gli Stati Uniti impegnando il top della tecnologia militare hanno provato anche a distruggere laboratori di raffinazione, con l’operazione Iron Tempest. Doveva togliere risorse ai talebani, è stata un fallimento.

SAVIANO E I NARCOS AFGHANI
In sintesi, per come l’abbiamo descritto sin’ora, l’Afghanistan è un narcostato – poco ma sicuro – ma i talebani sono narcotrafficanti? Roberto Saviano nel suo pezzo sul Corriere ne è convinto. Lo afferma con gran sicurezza.

Cominciamo dalla coda di quell’intervento. Saviano cita l’attuale capo dei talebani, il mullah Akhundzada indicandolo come autore della “legalizzazione” dell’oppio (liceità religiosa) nel sud dell’Afghanistan. Sbaglia. La decisione venne sì presa da Hibatullah Akhundzada ma non dall’attuale leader talebano (che nell’81 aveva 10 anni) ma da Mohammed Nasim Akhundzada, mujaheddin morto nel ‘90, un cui nipote è poi stato governatore dell’Hellman per il governo cosiddetto democratico.

Saviano poi confonde Hamid Karzai con il suo fratellastro, Ahmad Wali, potente signore di Kandahar che venne ucciso dai talebani (da una delle sue guardie del corpo) e che gli Usa consideravano narcotrafficante ma si tenevano buono per il suo supporto operativo alla Cia con la Kandahar Strike Force.
Comunque tanti esponenti del governo c.d. democratico – a vari livelli – sono stati coinvolti nel traffico di oppio, come scrivevo sopra.

Ora l’errore di Saviano non è importante in sè, il punto è nel sostenere la sua tesi (i talebani sono narcos) minimizza il ruolo avuto dagli assassini corrotti che noi abbiamo messo al potere in Afghanistan. Gli esponenti del governo, in questo e in altre cose, non sono diverse dai talebani.

Occhio: non riducete il mio ragionamento alla politicizzazione italica di ogni vicenda internazionale. Non tifo per nessuno provo a capire.

Il tema oppio in Afghanistan è complessissimo. Non ci sono buoni da un lato e cattivi dall’altro, uccisi i quali hai risolto il problema. Dall’oppio dipendono centinaia di migliaia di contadini afghani. Dipendono da questa pianta incredibilmente resistente al duro clima afghano, i cui “frutti” non necessitano di frigoriferi e si “trasformano” facilmente in panetti semi-essiccati trasportabili senza problemi sul pianale di un pick up sotto al sole cocente. Soprattutto l’oppio è un prodotto “già venduto” prima ancora di essere coltivato. Com’è possibile? Nell’Helmand e nel sud in genere esistono dei contratti agrari tradizionali che prevedono il pagamento alla semina da parte dei contadini, per cui il rischio di non vendita del raccolto è zero. Sono contratti, tra l’altro, che intrappolano i contadini in una spirale di debiti anno su anno, per restare nella quale senza fallire devono continuare a produrre oppio. Ad un certo punto della missione, gli americani presero dalle mani dei britannici il tema oppio e proposero di usare aerei per spruzzare diserbante sulle coltivazioni. Per fortuna (delle loro truppe stazionate in zona), gli si fece capire che ci sarebbe stata un’esplosione di povertà e quindi di rabbia e di consenso per la guerriglia. Questo è l’anello che va spezzato. Per farlo bisogna lavorare sull’agricoltura (lo diceva Bashardost, l’unico politico afghano non corrotto che andava in giro in bici a Kabul).
Anche il nostro PRT ad Herat provò a sostituire le colture, introducendo lo zafferano (che al grammo vale più dell’oro), un’esperimento poi tentato anche in altre parti del Paese. L’UNODC a Jalalabad sta sperimentano la produzione dell’olio essenziale di rosa. Il punto è che non basta intervenire sul campo, se non si crea la logistica per l’agricoltura è tutto inutile, vincerà sempre quell’oppio “prepagato”. Qualcosa si è fatto in questi anni ma va consolidato lo sbocco a mare offerto dall’Iran, liberandosi dalla schiavitù di Karachi, e intensificando i ponti aerei verso l’india dando così mercato alla straordinaria (si è buonissima) frutta afghana.

I TALEBANI SONO NARCOS?
Saviano no è convinto, è la tesi degli Stati Uniti e per me (dalla mia esperienza sul campo e dalle mie ricerche) è infondata. I talebani sono solo dei facilitatori applicano cioè il modello economico tradizionale afghano anche all’oppio, incassano cioè dazi sulle merci in trasito e su tutta la catena produttiva. Danno passaggi sicuri ai trafficanti ma non producono nè trafficano. Non che questo sia meno grave ma lo dobbiamo sapere perchè i talebani controllano il Paese, lo guideranno nei prossimi anni, avranno relazioni internazionali, avranno bisogno di aiuti umanitari e di finanziamenti. Sono leve che dovranno essere usate per fermare l’oppio o almeno continuare a provarci. Per farlo bene dobbiamo aver chiara la situazione e i meccanismi.

A concordare con la tesi che i talebani siano facilitatori non narcos è David Mansfield (citato dalla Reuters) un grande conoscitore della droga afghana, docente della britannica LSE. Della stessa opinione è anche la BBC nel suo approfondimento su come i talebani fanno cassa.

Di questo aspetto nel mio libro “Corrispondenze afghane” ho parlato anche con i talebani oltre che con l’UNODC. Il quadro viene confermato. Leggete qui

LA MESSA AL BANDO DELL’OPPIO DEI TALEBANI NEL 2001

Se guardate al grafico pubblicato sopra, quello sulla serie storica di produzione/coltivazione di oppio, noterete che c’è un solo “quasi zero”. E’ il 2001, l’anno in cui il Mullah Omar vietò il papavero da oppio nell’ambito di un accordo con le Nazioni Unite (commissario UNODC, l’italiano Arlacchi). E’ un quasi zero perchè si continuò a produrre oppio nelle zone dell’Alleanza del Nord, non in quelle talebane.
Saviano nella sua ricostruzione minimizza la cosa, la legge come una furbata per far alzare i prezzi. E’ una delle intepretazioni possibili (purtroppo non c’è controprova perchè il raccolto è in primavera ma nell’autunno del 2001 cominciò l’intervento americano) ma direi che è roba vecchia. Oggi sappiamo che i talebani pagarono quella scelta perdendo il consenso della popolazione. Torniamo quindi al vero tema: i contadini e la povertà.

La messa al bando, che nel comunicato dell’Onu sul fine mandato di Arlacchi venne definito come un successo senza precedenti, in realtà ebbe degli effetti collaterali gravi che costarono ai talebani molte defezioni quando le cose per loro si misero male dopo il 7 ottobre. Vediamo alcuni estratti da uno studio dettagliato sul punto.

 


In quanto all’oppio legale, secondo Saviano, sarebbe oppio afghano ma “ripulito” (immagino con falsa contabilità) per poi entrare nel circuito dell’industria farmaceutica. Non so sulla base di quale fonti lo afferma, sarà così ma ricordo che – di fronte anche ad una mozione del Parlamento italiano – l’UNODC nel 2007 negò ogni possibilità di avviare un percorso di legalizzazione delle coltivazione afghane di oppio per vari motivi, in particolare perchè il mercato dell’oppio legale era già saturo di suo quindi sarebbe stata una mossa inutile quanto dannosa (dal mio “Missione Incompiuta”).

Per quanto riguarda invece le rotte della droga di cui parla Saviano, in realtà nei mie contatti con le varie realtà anti-narcotici a Kabul, ho capito che l’enfasi è posta sul traffico via mare cioè da Karachi verso l’Africa (Kenya e Nigeria), rotta che starebbe soppiantando il transito via Turchia. C’è poi una rotta minore che è però una ferita sanguinante per la Russia, è la rotta nord che passa da Bala Morghab (aria di un pesante dispiegamento militare italiano) vero il Turkmenistan e poi il territorio russo.

LE METANFETAMINE
Ne ho scritto nel mio “Corrispondenze Afghane” anche se non ne parla quasi nessuno: in Afghanistan c’è una nuova industria illegale, in rapida crescita, è quella delle metanfetamine. Tra l’altro c’è anche un crescente e devastante mercato – creato dal terrore della guerra – per le droghe chimiche, compresa la droga anti-paura dell’Isis.
Come fece il Pakistan che spostò i suoi campi da oppio, oltre confine, il giro di vite iraniano sui laboratori di droga li ha spostati in Afghanistan dove tra l’altro trovano un incredibile carburante. Al posto degli sciroppi per la tosse, ormai svuotati dai quei principi utili ai “chimici” delle droghe sintetiche, viene raccolta un’erba montana chiamata Oman, forse quella di cui si favoleggia dall’antichità. Al momento in pochi sembrano aver capito dove finisca questo nuovo fiume di droghe afghane (sotto da “Corrispondenze Afghane”).


POST SCRIPTUM
Preciso, per evitare malintesi, che stimo Roberto Saviano perchè ha saputo raccontare in maniera unica una storia che era sotto gli occhi di tutti, quella della Camorra, portandola all’attenzione mondiale e quindi amplificando l’urgenza del combatterla, nel farlo è finito a vivere una vita sotto scorta e in questo ha la mia solidarietà. Se sono intervenuto sul suo articolo è per dare un contributo alla discussione non per iscrivermi al partito dei santificatori o dei demonizzatori.

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6 Commenti

    • Le chiedo scusa per l’autoreferenzialità (dove?) ma essendo – mio malgrado – uno tra i giornalisti più esperti d’Afghanistan mi capita di dovermi citare.

  1. Non vedo molta differenza tra produrre materialmente oppio grezzo o raffinato in eroina e controllare i flussi finanziari che ci stanno dietro. Anzi potrei dire che i talebani sono più responsabili dei contadini. Una differenza avrebbe potuto esserci se dietro i talebani narcotrafficanti ci fossero stati gli americani. Di fatto i talebani restano una banda di criminali, anche se gli americani sono molto peggio.

    • Libero di non vederla ma c’è ed è sostanziale. Io ho illustrato il modello della talebanomics che non si applica solo all’oppio. Comunque faccia lei…

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Nico Piro

Provo a dare voce a chi non ha voce, non sempre ci riesco ma continuo a provarci. Sono un giornalista, inviato speciale lavoro per... continua a leggere